Sulla mobilitazione dell’Ugl in difesa dei salari non possono esserci dubbi. Tra iniziative e dichiarazioni, portate avanti per anni, ricordiamo l’ormai consueto Rapporto-Censis Ugl 2022, pubblicato da sempre in occasione della Festa del Primo Maggio e in quell’anno dedicato al tema degli stipendi inadeguati a contrastare il costo della vita. Fa sorridere, per usare un eufemismo, che a battersi per i salari, come per altri diritti messi in discussione da provvedimenti “lacrime e sangue”, siano oggi gli stessi che, un tempo al governo, o hanno approvato riforme del lavoro e finanziarie ispirate all’austerity che tagliavano la spesa pubblica, anche quella sanitaria, e rinviavano ad libitum rinnovi dei contratti della Pubblica amministrazione o che hanno ignorato appelli e moniti provenienti dal sindacato sulla povertà incombente anche tra coloro che avevano un lavoro pubblico o privato. Per essere più chiaro, il Pd si batte come il M5s, un altro partito a caccia del consenso perduto, per l’introduzione del salario minimo, dedicando ad esso oggi un convegno con tanto di rilevazione sulla perdita di potere d’acquisto dei salari negli ultimi due anni. Il fenomeno – benvenuti! – risale a ben prima degli ultimi due anni, cioè a partire dall’introduzione dalla politica della moderazione salariali e ulteriormente aggravatosi con l’introduzione dell’euro equiparato al valore del marco tedesco. Il salario minimo è oggi un tema o, meglio, una “misura spot” cavalcata per racimolare un po’ di attenzione o per dare ad intendere ad un elettorato deluso e stanco di essere tornati a combattere per i diritti e dalla parte delle fasce più deboli e indebolite della popolazione. In nome di ciò, cioè della ricerca del consenso perduto, si entra, ancora una volta, a gamba tesa nel mondo del lavoro, rischiando di smontare (come già fatto con l’articolo 18) o di ridimensionare uno strumento di democrazia economica, in Italia più che centrale, quale è quello della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali-industriali.
Per questo ma non solo, come UGL condividiamo le parole del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone, e oggi del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in merito all’inopportunità di fissare per legge un salario minimo. Prima di tutto perché finirebbe per riallineare verso il basso, e non verso l’alto, le retribuzioni e, in seconda battuta, perché indebolirebbe i diritti acquisiti dai lavoratori.
È, invece, fondamentale puntare sul rafforzamento della contrattazione collettiva nazionale, valorizzando, al contempo, la contrattazione di secondo livello aziendale, quella che realmente rafforza le retribuzioni, anche in senso meritocratico. Il CCNL, in Italia, copre oltre il 90% dei lavoratori e rappresenta uno strumento essenziale perché regola aspetti cruciali come l’orario di lavoro, la progressione di carriera, la previdenza e il welfare. È semmai necessario superare i pregiudizi ideologici, gli interessi di parte, e favorire il dialogo fra Governo e parti sociali per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl