La riforma in senso presidenziale – possibile anche l’opzione che prevede l’elezione diretta del premier – e l’autonomia differenziata stanno affrontando un iter lungo e tortuoso. A palazzo Chigi però c’è ottimismo

Proseguono, nel frattempo, parallelamente a decine di altri dossier – Pnrr, Mes…–, i lavori che porteranno alla riforme costituzionali, tra i punti più ambiziosi dell’agenda di governo.
Il percorso, iniziato con l’insediamento dell’esecutivo nell’ottobre scorso, si è preannunciato lunghissimo fin dall’inizio. Sia per l’autonomia differenziata che per la riforma in senso presidenziale, anche se si sta facendo sempre più concreta un’altra opzione: il premierato, che prevede appunto l’elezione diretta del premier. Entrambi i modelli garantiranno maggiore stabilità al Paese, assicura il governo.
Il mese scorso c’è stato un primo giro di consultazioni con i rappresentanti di tutti i partiti, inclusi quelli che compongono l’opposizione, come chiesto in modo esplicito dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che desidera un coinvolgimento più ampio possibile delle forze parlamentari, ma anche delle parti sociali, per raggiungere una sintesi.
L’invito al dialogo è stato momentaneamente accolto e viene coordinato dal ministro per le Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati, nonostante qualche difficoltà riscontrata fin da subito, con il Movimento 5 stelle e Partito democratico che hanno bocciato sia l’elezione diretta del presidente del Consiglio che del capo dello Stato. Più aperto invece al confronto il Terzo Polo.
Dal governo hanno fatto però sapere che, anche qualora venisse meno questa collaborazione, i lavori non subiranno un arresto: in sostanza, la maggioranza proverà a portare a termine da sola una riforma che trova d’accordo molti italiani.
Alcune rilevazioni hanno sondato l’umore dei cittadini, registrando un ampio consenso. Secondo l’Eurispes, che ha dedicato una parte dell’ultimo Rapporto Italia alle riforme istituzionali, il 51,9% dei cittadini vuole l’elezione diretta del presidente del Consiglio, una quota analoga a quella favorevole all’elezione diretta del capo dello Stato (48,3%). Diffuso anche il sostegno all’autonomia delle regioni: in questo caso, i cittadini d’accordo sono il 56,1%.
Con l’autonomia differenziata (ad inizio maggio la Commissione affari costituzionali del Senato ha iniziato l’esame del disegno di legge approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri il 15 marzo) si punta invece a riconoscere alle Regioni una maggiore autonomia. Fondamentale in questo senso la definizione e il finanziamento dei Lep, i livelli essenziali di prestazione, che dovranno essere individuati e poi definiti da un Comitato istituito ad hoc. I lavori del Comitato dovrebbero finire entro ottobre. Si passerà poi ad un iter che coinvolgerà a più riprese il governo, il Parlamento e le Regioni.