Lo stop all’ecofollia della legge europea sul “Ripristino della Natura” grazie al Partito Popolare Europeo e a una parte dei liberali ha una forte valenza sotto, almeno, due punti di vista. Il primo, è saltato il patto di legislatura (tra popolari, Liberali, Verdi e Socialisti) alla base di provvedimenti che, in nome della sostenibilità e della transizione ecologica, ancora oggi rischiano di portare alla distruzione intere filiere del tessuto produttivo europeo e, nel caso specifico, italiano, con un impatto sociale potenzialmente devastante. Una filosofia che è alla base del pacchetto “Fit for 55”, di cui sono parte integrante lo stop nel 2035 alla produzione e alla vendita di auto e van con motori termici fino alle “case Green”, passando per obiettivi di ancora più lungo termine come quello della neutralità carbonica, le cosiddette “emissioni zero” entro il 2050. Obiettivi non solo di difficile raggiungimento, ma anche di opinabile utilità. Con la legge sul “Ripristino della Natura”, già folle in sé come titolo e come obiettivo in un’era in cui si va verso l’intelligenza artificiale, si rischiava di generare un’ecatombe sul mondo dell’agricoltura e dell’agroalimentare a causa di norme che prevedevano la reintroduzione di oasi verdi paludose, l’abolizione dei fitofarmaci ed erbicidi, la messa a riposo forzosa di una quota di terreni coltivati per favorire la biodiversità. Una legge considerata elemento chiave per garantire la biodiversità, secondo i piani di Frans Timmermans, numero due della Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen, e commissario al famigerato “Green Deal”. Siamo ad un punto di non ritorno, c’è da augurarsi, che apre nuovi scenari, interessanti, guardando alle prossime elezioni europee del 2024. Il testo andrà in votazione plenaria il 12 luglio, ma dopo aver subito tre sonore bocciature in Commissioni Pesca, Agricoltura e Ambiente.
Il secondo aspetto altrettanto importante dello stop alla Legge sul Ripristino della Natura è quello relativo all’economia, che ha ben quantificato Coldiretti: lo stop, al momento, salva una filiera agroalimentare Made in Italy che vale 580 miliardi e scongiura il rischio di un significativo aumento delle importazioni di prodotti dannosi per il consumatore e per l’ambiente da Paesi terzi. Da questo punto di vista, è interessante e curioso notare come sia con il Nutriscore, il sistema di etichettatura dei prodotti dell’agroalimentare caldeggiata dai Paesi del Nord Europa e osteggiata da quelli del Sud, sia con la Legge sul Ripristino della Natura sia con lo stop alla Pesca a strascico sempre a danno del Made in Italy e dell’Italia si sarebbe voluto o potuto andare a parare.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl