Biden continua a non godere di grandi consensi, mentre Trump avanza nei sondaggi. Intanto il presidente invia “messaggi” ai competitor oltreoceano
La campagna presidenziale statunitense, sebbene ancora relativamente lontana dall’entrare nel vivo, si preannuncia movimentata alla luce delle folte primarie repubblicane, ma soprattutto in vista della sfida del GOP al presidente Joe Biden e ai democratici. Biden continua a non godere di ampi consensi, nonostante l’altalenante ripresa economica, segno che più di qualcosa non sta funzionando nell’amministrazione. A cominciare, con ogni probabilità, dallo stesso presidente e dalle continue gaffe che lo vedono coinvolto (e che i repubblicani non mancano occasione di rimarcare, data anche l’età avanzata dell’attuale inquilino della Casa Bianca) e dagli inciampi giudiziari di suo figlio Hunter. Anche su Donald Trump le luci sono più accese che mai, viste le recenti incriminazioni, di cui la più grave quella relativa al ritrovamento di documenti classificati nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida. È comunque opinione diffusa che le vicende di Trump difficilmente avranno un impatto sulla sua campagna elettorale, salvo che nel frattempo non sopraggiungano situazioni ben più gravi. Ad ogni modo i sondaggi premiano proprio l’ex presidente, tanto sul fronte interno – è sopra, infatti, Ron DeSantis, governatore della Florida nonché suo rivale più accreditato e di gran lunga distanziato da altri candidati, quali il suo ex vicepresidente Mike Pence – quanto sul piano nazionale, dove recupera terreno su Biden o addirittura, in alcuni casi, lo supera. Le prossime elezioni statunitensi saranno molto importanti anche per le sorti dell’Occidente in generale, segnato com’è dalla guerra in Ucraina e dalle minacce di Vladimir Putin – la Russia resta sullo sfondo anche in conseguenza degli ultimi avvenimenti legati all’insurrezione del gruppo Wagner –, oltre che dalla rivalità con la Cina. Quest’ultimo è un aspetto centrale nello scacchiere internazionale. Alcuni giorni fa la missione a Pechino del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, è servita proprio a riavvicinare le parti, specialmente dopo la crisi dei palloni spia a inizio anno e le divergenze su Taiwan. I cinesi hanno spesso ripetuto che i rapporti tra le due potenze sono al punto più basso dal 1979, ma l’apertura di credito fornita da Xi Jinping in persona quando ha ricevuto Blinken rappresenta il possibile inizio di una ripresa delle relazioni, con vista Kiev e l’ipotesi di un impegno a convincere Mosca a porre fine al conflitto. Biden conta di incontrare Xi a breve, anche se negli ultimi giorni, dopo averlo definito un dittatore durante un intervento pubblico in California, si è registrata di nuovo qualche frizione tra Washington e Pechino. Ma c’è chi sostiene che la mossa di Biden non sia stata la solita gaffe, bensì “una scelta da campagna elettorale” volta a ribadire la posizione statunitense rispetto all’interlocutore cinese e a scansare, in questo senso, le accuse di arrevondevolezza. E anche l’incontro con il premier indiano Narendra Modi della scorsa settimana, suggerisce più di qualcuno, nasconde una strategia in chiave di contenimento della Cina.