L’istruzione e la formazione sono di fondamentale importanza per emanciparsi e per avere un’autonomia economica e non cadere nella trappola dello sfruttamento per disperazione, a prescindere dalla propria storia personale. Come emerge dal dossier Anpal-Randstad «il mercato del lavoro ha guardato con maggiore attenzione ai profili femminili più qualificati anche in settori a tradizionale vocazione maschile». Quasi un’assunzione su quattro (24%) è avvenuta tra professioni intellettuali, ad alta specializzazione e tra quelle tecniche. Le donne hanno rappresentato il 66,3% delle nuove attivazioni tra i profili intellettuali e specializzati, cresciuti del 23% rispetto al 2019. Un segnale incoraggiante, sebbene il numero delle lavoratrici sia passato dai 9,7 milioni del 2019 ai 9,5 milioni del 2021. Sabatini e Alfieri propongono un confronto fra Italia e Svezia, due Paesi con tassi di partecipazione alla formazione continua nella fascia di età fra 35 e 55 anni molto diversi (6% in Italia, 35% in Svezia). Nel Paese scandinavo, infatti, la formazione continua si inserisce in un percorso di politiche per l’istruzione coerente per l’intero ciclo di vita, dalla primissima infanzia fino agli studi secondari e post-secondari. Inoltre, si realizza in un contesto di stretta collaborazione tra istituzioni pubbliche, istituzioni datoriali e persone interessate, in un contesto in cui la fiducia reciproca è una componente basilare del capitale sociale. In Italia, invece, secondo i due studiosi, «la formazione continua non è di certo un elemento di forza».