Il 40% delle navi italiane ha bandiera estera. Nel 2021 era ancora del 36,43%. La burocrazia pesa anche in mare e frena la crescita

Il 40,83% (dato Uctad) delle navi italiane, con stazza lorda superiore alle 1.000 tonnellate, ha cambiato bandiera. Uno dei motivi per i quali il mare in Italia resta ancora un’infrastruttura poco valorizzata è emerso ieri dall’assemblea annuale degli armatori (Assarmatori), nel corso della quale, come ha riferito l’Ansa.it, si è fatto il punto da diverse angolature su investimenti e prospettive insieme al ministro, Nello Musumeci, ed ai ministri Matteo Salvini, Raffaele Fitto e Daniela Santanchè. «Un numero crescente di navi armate da armatori italiani ha cambiato bandiera», sottolinea il presidente Assarmatori, Stefano Messina. Non si tratterebbe di una scelta che «predilige le bandiere di comodo ma bandiere europee, come Malta, Cipro, Finlandia e Portogallo che garantiscono una burocrazia semplice, moderna e digitalizzata», nell’integrale rispetto delle innumerevoli regole internazionali, e «sintonizzata alla soluzione dei problemi che la navigazione ci mette davanti ogni giorno. Non è solo questione di costi o di tassazione», hanno tenuto a precisare gli armatori. Gli armatori hanno sottolineato l’importanza del proprio settore chiedendo di essere affiancati per evitare il fenomeno del “flagging out”. «Ammainare la bandiera italiana significa ammainare una parte importante dell’italianità del mondo oltre che depotenziare il nostro potere negoziale nei contesti internazionali. È tuttavia fuor di dubbio che la tutela della bandiera non può essere affidata solo alla resilienza degli armatori italiani».