di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

L’Ugl in questi giorni è presente al Forum per la cooperazione economica internazionale del G20, a Nuova Delhi, in India, nell’ambito delle relazioni internazionali del sindacato. Il tema oggetto del dibattito, che riguarda il mondo del lavoro a livello mondiale, come la gran parte delle istanze dei nostri tempi – e per questo abbiamo rafforzato la dimensione internazionale della nostra sigla – è l’impatto della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale su quantità e qualità dell’occupazione “umana”. Un problema dal quale non è esente nessun’area del mondo, dai Paesi di antica industrializzazione come il nostro a quelli emergenti, come l’India stessa. Il tema non è da poco, sia per i risvolti quantitativi sulla minore forza di lavoro che potrebbe essere necessaria una volta ultimato il processo di robotizzazione, sia per quelli qualitativi, dato che l’impatto maggiore dell’IA dovrebbe riguardare le posizioni lavorative medio-alte piuttosto che, come si pensava all’inizio, le professioni a minor valore aggiunto. Con un con un ampliamento della forbice sociale: pochi dirigenti e “colletti bianchi”, un restante mondo del lavoro dipendente limitato alla presenza di operai e una gran massa di sotto-occupati o disoccupati. Questo è lo scenario che si teme, con implicazioni non solo lavorative, ma anche sociali e politiche. Impossibile pensare di affrontare la situazione in un’ottica “luddista”: il cambiamento tecnologico è in atto e non si potrà arrestare e fermarlo oltre che impraticabile sarebbe forse anche ingiusto. Ma “se non puoi fermare il progresso puoi sicuramente governare il processo”: compito della politica e del sindacato è trovare il modo di rendere socialmente accettabile il cambiamento evitando che crei danni alla popolazione. In Italia, specie nell’ambito progressista, si sente spesso parlare di “reddito universale” e la questione non è affatto sconnessa rispetto alla robotizzazione, tutt’altro: per la sinistra la soluzione al cambiamento dei processi produttivi consiste nell’accettare l’aumento della disoccupazione e nell’offrire alle persone estromesse dal mondo del lavoro un reddito minimo di sopravvivenza. Questa per noi non può essere una soluzione, né in termini economici, né sociali, né politici perché, al di là degli eventuali costi per attuare una simile misura, essa comunque porterebbe ad escludere dal mondo del lavoro e quindi dalla società “decidente” milioni di cittadini. Dal punto di vista dell’Ugl una soluzione possibile a tutela del lavoro può e deve essere la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Perché consente ai lavoratori di essere soggetti attivi nel processo di cambiamento e non subirne solo le conseguenze, mediante un patto fra capitale e lavoro che permetta all’azienda di ottimizzare i risultati, al lavoratore di essere partecipe delle scelte e dei risultati, radicando l’impresa non solo a livello territoriale, ma anche sociale e salvaguardando il concetto di lavoro come elemento non solo necessario per il sostentamento, ma anche per l’inclusione e la cittadinanza. Per affrontare le sfide del futuro bisogna riscoprire ed attuare un concetto antico eppure innovativo: la partecipazione, anche per governare i processi di robotizzazione in atto.