di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Sulla questione importante, di cui l’Ugl parla spesso, anche in queste pagine, della mancata corrispondenza fra domanda e offerta di lavoro ha si è espressa oggi anche Confcooperative, che ha illustrato le conseguenze negative di questo mismatch non solo in termini occupazionali, ma anche economici. Secondo il presidente dell’associazione, Maurizio Gardini, «il lavoro c’è, mancano i lavoratori» ed il costo di questa paradossale, ma strutturale criticità del nostro sistema costa all’Italia l’1,2% del Pil e 21 miliardi di euro. Solo nel settore delle cooperative, sempre secondo Gardini, si potrebbero assumere ulteriori 30mila lavoratori se il problema venisse risolto, ma mancano le professionalità necessarie, che sono essenzialmente quelle socio-sanitarie, quelle dell’area tecnico-scientifica e dell’area agroalimentare nonché quelle legate al settore dei trasporti e dei servizi turistici e culturali. Nella sua analisi, che ha toccato anche altri aspetti della situazione economico-sociale italiana, Confcooperative, sempre nell’ambito del mismatch, ha parlato della presenza di «500mila giovani, più di 11 giovani su 100, nella fascia 18-24 anni, che abbandonano i percorsi di formazione senza aver conseguito un titolo di studio». Dal canto nostro ci stiamo occupando della questione nell’ambito della stagione congressuale che l’Ugl ha avviato per il suo #viaggionelfuturo del lavoro, ovvero per delineare le sfide che ci attendono nei prossimi anni e le risposte che il sindacato intende offrire per affrontarle. E una fra le nostre richieste è proprio quella relativa alle politiche attive per il lavoro: da tutti i dati, nazionali o territoriali, emerge una netta distanza tra il sistema delle imprese e i soggetti deputati all’incrocio domanda-offerta di lavoro, si nota, poi, la presenza di un’occupazione giovanile insoddisfacente, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, con la diffusione del cosiddetto “lavoro povero” tra le nuove generazioni, anche e soprattutto a causa della lontananza fra le competenze possedute e quelle richieste dalle imprese, che pure vorrebbero assumere. Servono, quindi, maggiori investimenti sulle politiche attive, sulla formazione per una migliore rispondenza tra domanda e offerta di impiego e per incentivare l’ingresso dei giovani ed anche dei non occupati di altre fasce d’età nel mondo del lavoro. Bisogna puntare sulla formazione dei lavoratori, di qualità e tarata sulle richieste del sistema produttivo, e rafforzare la partnership fra pubblico e privato per intercettare la domanda di nuove professioni. Il Pnrr è un’occasione storica per accompagnare i processi in corso, a partire da fenomeni come la digitalizzazione e la transizione energetica, che stanno generando un radicale mutamento di paradigma nel mondo del lavoro. Puntando ad una ripresa diffusa, sostenibile e nel segno della valorizzazione del lavoro italiano.