Con un utile netto «di 7 miliardi di euro, non ho coraggio a guardare in faccia le persone e dire che mi metto a negoziare sugli aumenti», questa la “bomba” lanciata dall’amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Carlo Messina. Intervenuto al XXII congresso della Fabi, maggiore sindacato del settore bancario, ha dichiarato unilateralmente di essere d’accordo sull’aumento di 435 euro al mese chiesto dal sindacato. «Intesa Sanpaolo non farà nessun tipo di approccio negoziale sulle richieste economiche» dei sindacati, mentre sono in corso le trattative per il rinnovo del contratto dei bancari, scaduto a fine 2022 e al momento prorogato fino al 30 aprile. L’Huff Post ha diffuso una nota secondo la quale «Intesa Sanpaolo ha revocato la propria delega a essere rappresentata da Abi, pur continuando a rimanervi iscritta». Molto sono i temi che dividono Abi e Intesa SanPaolo: settimana corta, smart working e ora anche il rinnovo contrattuale.
Tecnicamente, la prima banca italiana uscirebbe soltanto dal Casl, ossia il Comitato Affari sindacali e del lavoro dell’Abi. Perché Messina ha fatto tutto questo?
Forse, sarà perché l’ad di Intesa SanPaolo, come ha ricordato egli stesso, conserva ancora la memoria di aver iniziato la sua carriera in banca da “impiegato di prima” con una retribuzione che oggi sarebbe di 500 euro. Oppure perché, ha detto, che è «possibile immaginare uno sforzo tra banche e sindacati per una distribuzione degli utili anche alle persone che lavorano in banca».
È probabile che, con questa mossa ben orchestrata tra Fabi e Intesa, i lavoratori ci guadagnino – e forse non soltanto i bancari, dato il difficile momento storico? – e, come ha detto Antonio Patuelli, l’Abi farà di tutto per far rientrate Intesa SanPaolo nel Casl, perché «costruire una strada per il rientro di Intesa Sanpaolo per noi è un dovere innanzitutto morale».