di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Sappiamo che una delle priorità del governo è quella di invertire una curva demografica che senza cambiamenti, così com’è adesso, con un numero di nascite in calo costante, porterebbe la popolazione italiana a ridursi drasticamente entro il breve lasso di tempo di qualche lustro ed inoltre ad avere nel Paese un’età media troppo avanzata, con problemi non indifferenti dal punto di vista economico e sociale e per la tenuta del nostro welfare state, dal sistema previdenziale a quello sanitario. Tra le tante cause che hanno portato l’Italia ad essere un Paese con troppe “culle vuote” sicuramente, oltre a fattori di tipo culturale, pure importanti, non si possono non considerare altre questioni, estremamente pratiche e concrete. Nello specifico, la Banca d’Italia ha quantificato, nella propria relazione annuale, che “con la nascita di un figlio lo stipendio della madre crolla”. In sintesi, una lavoratrice, dopo quindici anni dalla maternità, guadagna in media circa la metà di una collega che, a parità di condizioni iniziali, nel frattempo non abbia avuto figli. Se già la condizione femminile nel mondo del lavoro è difficile e sono lontane delle piene ed effettive pari opportunità, in caso di maternità le cose si complicano ulteriormente. In generale, comprendendo tutte le donne che lavorano, madri e non, il tasso di occupazione femminile, attesta sempre Bankitalia, è inferiore di 18 punti rispetto a quello maschile, posizionando il nostro Paese in fondo alla classifica europea dell’inclusione femminile nel mondo del lavoro. Poi, dice sempre Banca d’Italia: “le donne occupate hanno più di frequente impieghi di tipo temporaneo e part-time”. E se questo è vero per tutte le donne, per le lavoratrici con figli ancora di più, poiché, data l’assenza di servizi adeguati, molte sono costrette dopo la maternità ad abbandonare il lavoro per seguire i propri figli o a ridurre le ore di impegno professionale. Ed è per questo che le donne che continuano a lavorare, quelle che non si ritirano dopo la nascita di un figlio, spesso decidono, per le suddette “cause di forza maggiore”, dovendo supplire alle carenze del welfare, di lavorare meno ore. Ritrovandosi poi a guadagnare meno ed ottenere minori progressioni di carriera, con la conseguenza, a distanza di anni, di stipendi dimezzati rispetto alle colleghe senza figli (ed ancora più squilibrati rispetto ai colleghi di sesso maschile). A dissipare ogni possibile dubbio sul legame causa-effetto, la ricerca Bankitalia nota che il collegamento fra la maternità e la diminuzione della quantità e della qualità dell’occupazione femminile è maggiormente presente nelle aree del Paese nelle quali i servizi per l’infanzia sono meno diffusi. Per risolvere un problema importante come questo occorre un piano capace di coniugare questione demografica ed occupazione di qualità per le donne, tramite servizi pubblici maggiori e migliori, ma anche mediante l’incentivazione di politiche aziendali family friendly ed attente alla conciliazione tra lavoro e vita privata.