di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Quella di ieri è stata una giornata nera per il mondo del lavoro italiano: sei, in un solo giorno, le vittime, sei i lavoratori che non sono tornati a casa dalle proprie famiglie. Tre in Lombardia: Daniele Salvini, di 33 anni, ferito a morte mentre svolgeva lavori di potatura, che lascia moglie e un bambino di otto mesi, Rosario Frustaci, caduto da un’impalcatura a 60 anni, Abdul Ruman, operaio 23enne originario del Bangladesh, che risulta essere stato assunto lo stesso giorno dell’incidente, causato da un macchinario industriale. Poi, in Sardegna, Fabrizio Cherchi, operaio di 58 anni, finito in un compattatore di una discarica. In Basilicata, Franco Santarsiero, 60enne precipitato dal tetto di un capannone. In Calabria, Pietro Mazzuca, operaio di 62 anni, caduto da un ponteggio mentre svolgeva lavori di tinteggiatura in un’azienda. Una strage inaccettabile. La media dei decessi quotidiani sul lavoro è di 2 al giorno per i primi 3 mesi del 2023, 3 al giorno nell’intero anno passato, che ha contato 1090 vittime. I dati ci parlano di più di 144mila incidenti sul lavoro denunciati all’Inail solo nei primi tre mesi del 2023, in calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, del 25,5%, ma sostanzialmente per effetto della fine della pandemia, con il crollo dei contagi da Covid19 nei luoghi di lavoro. Resta altissimo ed in crescita, invece, il numero dei casi mortali denunciati all’Istituto: 196 in tre mesi con un aumento del 3,7%: lo scorso anno, nel primo trimestre del 2022, erano stati 189. La ripresa post-pandemica si riflette su questi dati: da un lato il numero minore di contagi e vittime del Coronavirus, dall’altro un aumento delle attività ed un parallelo incremento dei decessi, segno evidente che il problema della sicurezza sul lavoro è ben lontano dall’essere stato risolto. Anche le identità di queste sei vittime ci dicono molto sulla situazione del mondo del lavoro e sui suoi problemi: operai ultrasessantenni che dovrebbero essere in pensione e che invece continuano a svolgere professioni pericolose ed usuranti, oppure lavoratori giovani, anche spesso immigrati, non formati ed in molti casi occupati in modo irregolare in attività ad alto rischio. L’Ugl continua a chiedere di investire in modo più corposo e capillare nella formazione dei lavoratori, dei datori di lavoro e e delle altre figure professionali, ma non solo, di iniziare a parlare di salute e sicurezza già a partire dalla scuola, per costruire con ogni mezzo possibile una radicata cultura della sicurezza. Poi i controlli, che vanno intensificati, con una collaborazione tra regioni ed enti locali, fondamentali per intercettare il lavoro sommerso specie nei settori del commercio, dell’edilizia e dell’agricoltura. E poi un confronto stabile e strutturato sulla materia tra istituzioni e parti sociali.