31 anni fa, il 23 maggio 1992, la mafia, per volere del boss Salvatore Riina, compie un atto di spettacolare violenza che l’Italia non potrà e non dovrà mai più dimenticare: con cinquecento chili di tritolo uccide il giudice Giovanni Falcone nel tratto dell’autostrada A29 che va dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Insieme al giudice muoiono la moglie Francesca Morvillo, a sua volta magistrata di valore, e gli uomini della scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro.
Cinquecento chili di tritolo che, oltre a porre fine alla vita valorosa di Falcone, producono sull’asfalto dell’autostrada una voragine, grande come un cratere vulcanico. Centinaia di metri di quello stesso asfalto vengono sollevati fino a scaraventare a distanza la prima auto del convoglio della scorta di Falcone. Una colonna di fumo nero e denso si alza nel cielo, visibile a molti chilometri di distanza. Alle 17 e 56 minuti, ora dell’esplosione, i sismografi dell’Osservatorio geofisico di Monte Cammarata registrano una forte onda d’urto.
Falcone, insieme a Borsellino, che cinquantasette giorni dopo, il 19 luglio del 1992, a via d’Amelio, viene ucciso da Cosa Nostra insieme agli uomini della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, e sotto la guida del giudice Caponnetto, era l’esponente di spicco del pool di magistrati che, a partire dal 1986, istruisce il maxiprocesso contro Cosa nostra, per celebrare il quale venne costruita un’aula bunker a ridosso del carcere dell’Ucciardone.
Pool antimafia che ha dato vita, grazie alle sue gesta e all’efferatezza delle stragi che ne sono conseguite per fermarlo, a un’epopea contemporanea. Parlare di epopea è appropriato perché il pool antimafia, grazie alla tenacia investigativa di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, alle rivelazioni di collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta, ha portato in giudizio ben cinquecento mafiosi, tutti chiamati a rispondere di un’unica accusa: fare parte di Cosa Nostra. La mafia in Italia viene scoperta negli anni Sessanta, attraverso la letteratura, il cinema e ovviamente i fatti di cronaca, ma, prima dell’istituzione del pool antimafia, per decenni i mafiosi portati in tribunale venivano quasi sempre assolti per singoli episodi. A Falcone dobbiamo la nascita della Dna, Direzione Nazionale Antimafia, e della Dia, Direzione Investigativa Antimafia, e, dopo pochi mesi della sua morte, la cattura di Salvatore Riina. Dopo qualche anno, lo smantellamento della Cupola dei corleonesi.
A distanza di 31 anni, oggi, come sindacato, ribadiamo l’importanza di intensificare i controlli per combattere la piaga del lavoro sommerso e del caporalato, utilizzati dalle organizzazioni criminali quali strumenti di controllo sul territorio. È necessario, mantenere alta la guardia, puntare sull’educazione dei giovani e sul rafforzamento di quella cultura della legalità, come ha insegnato Falcone, che rappresenta l’arma più potente nell’azione di contrasto al crimine organizzato.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL