di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Di allarme già si parla da tempo e alcuni numeri ne chiariscono la portata, il calo delle nascite nel giro di cinquant’anni porterà il Paese ad una drastica riduzione della popolazione, dagli attuali 59 milioni circa a 48, con 11 milioni di italiani in meno, così l’ex presidente dell’Istat, Blangiardo. Una popolazione non solo più scarsa, ma anche dall’età media molto elevata, con conseguenze disastrose sull’economia, stimate in una perdita di 500 miliardi di Pil, e sulla tenuta del sistema economico e sociale. Gli effetti sul mondo della scuola, ad esempio, li ha tratteggiati il ministro Valditara: fra 10 anni, se proseguirà l’attuale tendenza demografica, si conteranno circa un milione e mezzo di studenti e 130mila cattedre in meno. Un problema, questo, non certo nuovo: dal decremento del tasso di natalità iniziato negli anni ‘60, ma con una popolazione complessiva che continuava ad aumentare per via della maggiore aspettativa di vita, fino al cambiamento intervenuto circa una decina d’anni fa, quando per la prima volta la parabola è diventata discendente, con un numero di nascite inferiore a quello dei decessi e un totale di abitanti della Penisola in calo, nonostante l’immigrazione. Eppure di tutto questo fino a poco tempo fa si parlava poco, come se la parola famiglia fosse diventata tabù. Oggi, invece, con la presenza di Papa Francesco accanto al Premier Meloni a conclusione della due giorni degli Stati Generali della Natalità, dopo anche il messaggio del Presidente Mattarella di ieri, le cose sembrerebbero diverse, con la denatalità finalmente al centro della riflessione pubblica e dell’agenda politica. È certamente vero – specie dal nostro punto di vista sindacale – che vanno rimossi gli ostacoli materiali che impediscono la formazione delle famiglie e la genitorialità, che si devono realizzare misure che favoriscano concretamente un lavoro stabile e dignitoso per i giovani, che vanno costruite reali pari opportunità per le donne, che consentano a queste ultime di non dover scegliere fra maternità e realizzazione professionale, che occorre un welfare adeguato alle esigenze della contemporaneità, maggiori e migliori servizi pubblici in tutta la Penisola, accesso alla casa ed altro ancora. Forse, però, è ancora più vero che questa è prima di tutto una battaglia di tipo culturale. «La nascita dei figli è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo» ha detto Papa Francesco nel suo intervento. Negli ultimi anni in Italia non solo sono mancate politiche efficaci in sostegno della famiglia e della natalità, ed i numeri stanno a dimostrarlo, ma è mancata soprattutto la speranza, individuale e collettiva, l’orgoglio di voler immaginare un futuro per la nostra nazione. Sembra che ora qualcosa stia cambiando e questo è un primo, fondamentale, segnale di svolta.