di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl
Dagli Stati Uniti, all’avanguardia in materia di nuove tecnologie, arrivano notizie significative sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale, nel mondo del lavoro e non solo. La multinazionale Ibm, ad esempio, ha annunciato di voler bloccare circa 8mila nuove assunzioni, non rimpiazzando i dipendenti in uscita nelle mansioni amministrative e affidando queste attività all’AI. Un processo che nell’arco di 5 anni potrebbe coinvolgere il 30% degli addetti non a contatto con la clientela, secondo il Ceo del colosso dell’informatica, Arvind Krishna. Un altro caso: nelle proteste sindacali che stanno coinvolgendo gli Studios hollywoodiani, una delle rivendicazioni dei lavoratori – oltre a quelle sugli aumenti delle retribuzioni e delle tutele – riguarda proprio l’AI, con gli sceneggiatori che chiedono di vietare l’uso dei bot nella creazione dei testi alla base di film e serie tv. Se qualche anno fa si pensava che la robotizzazione avrebbe messo in pericolo le occupazioni a minore valore aggiunto – e forse per qualche ottimista liberato gli esseri umani dalla fatica del lavoro – oggi sembrano più a rischio le professioni intellettuali rispetto a quelle di tipo manuale, come prevede Goldman Sachs, che ha stimato in circa 300 milioni i posti di lavoro a rischio nel mondo a causa dell’Intelligenza Artificiale, tra le tipologie di lavoro cosiddette “di concetto”, anche di rilievo ed ora ben retribuite. Come quelle di impiegati amministrativi, bancari, avvocati, ma anche creativi che si occupano di scrittura di testi, medici, tecnici specializzati, piloti e così via. Se soppiantare con i bot queste figure professionali comporta, a fronte dell’investimento iniziale, maggiori risparmi per le aziende rispetto alla sostituzione di operai e lavoratori manuali, meno costosi, sembra inevitabile che le imprese procedano in tal senso. Una prospettiva inquietante, non solo per l’occupazione e quindi l’inclusione sociale dei “colletti bianchi”, ma anche a causa del cambiamento profondo che un’automazione anche delle professioni intellettuali potrebbe comportare, dal punto di vista culturale e politico. Con la ripetizione dei contenuti, sebbene sofisticata, ovvero quella proposta dall’AI, al posto della creazione, cosa solo umana. Con ripercussioni importanti sulla libertà di pensiero e di informazione, sul controllo dell’immaginario collettivo e così via. Con la distopia di un mondo nel quale i robot “pensano” e la gran parte degli umani è dedita al lavoro di fatica. Tanto che recentemente Geoffrey Hinton, esperto mondiale in tema di intelligenza artificiale, ha lasciato la società per cui lavorava, Google, per potersi esprimere liberamente sui pericoli finora sottovalutati come i comportamenti imprevedibili dell’AI e la possibilità di non riuscire a controllare “qualcosa” che sta acquisendo una tale massa di informazioni e potere da mettere in pericolo la stessa umanità. Un tema che la politica, italiana ed internazionale, dovrà affrontare seriamente e rapidamente, per evitare conseguenze rovinose, che vanno anche oltre l’ambito, già fondamentale, del mondo del lavoro.