Solo rinnovando i ccnl crescono i salari. L’Istat certifica che sono i 32 contratti in attesa, pari a 6,9 milioni di dipendenti, il 55,6% del totale. Nel corso del I trimestre 2023 recepiti 6 contratti

Il punto di partenza è negativo perché nella media del I trimestre, nonostante il progressivo rallentamento della crescita dei prezzi, la differenza tra la dinamica dell’inflazione (Ipca) e quella delle retribuzioni contrattuali rimane superiore ai sette punti percentuali, secondo quanto diffuso oggi dall’Istat. Allo stesso tempo, sono gli incrementi a regime dei rinnovi del comparto pubblico relativi al triennio 2019-2021 ad accelerare la crescita delle retribuzioni contrattuali, pur rimanendo contenuta. Non solo, i contratti collettivi nazionali di lavoro che a fine marzo 2023 sono in attesa di rinnovo sono ben 32 e coinvolgono circa 6,9 milioni di dipendenti, il 55,6% del totale. I problemi delle retribuzioni basse, dunque, stanno nell’entità del rinnovo e nel ritardo dello stesso rinnovo, ma le soluzioni coincidono nello stesso punto, cioè sempre il contratto di lavoro (ccnl), unico strumento a poter cambiare la situazione. Alla fine di marzo 2023, i 41 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica coinvolgono il 44,4% dei dipendenti, circa 5,5 milioni, e corrispondono al 43,8% del monte retributivo complessivo. Nel comparto industriale, dove la quasi totalità dei contratti è in vigore, si associa alla limitata entità degli incrementi fissati dai rinnovi siglati tra il 2020 e 2021 (quando le aspettative inflazionistiche erano ancora molto contenute). Nel settore dei servizi, la più contenuta crescita salariale è anche legata al fatto che più della metà dei dipendenti è in attesa del rinnovo del ccnl.