di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il “caso Annunziata”, ovvero l’attacco militante contro il ministro della Famiglia Eugenia Roccella nel corso della trasmissione Mezz’ora in più, con tanto di parolaccia in diretta che ha costretto alle scuse la giornalista, il tutto sul tema caldo dell’utero in affitto, vietato in Italia dalla legge, ha aperto l’ennesimo dibattito sulla questione dell’imparzialità della Rai, attualmente quasi monopolizzata dalla sinistra. In questi giorni se ne sono dette tante, con il centrodestra a criticare l’uso ideologico degli spazi offerti dal servizio pubblico e la parte avversa a difendere la conduttrice, temendo epurazioni. Ha centrato il punto Gianluigi Paragone, con una riflessione interessante apparsa ieri sulle colonne de Il Tempo. Se alle critiche contro una gestione evidentemente faziosa della Rai, si risponde appellandosi alla quantità di tempo dedicata agli esponenti dell’uno e dell’altro schieramento, regolamentata, non considerando la qualità dei toni, dei commenti, delle domande spesso e volentieri accomodanti verso la sinistra e sprezzanti nei confronti della destra, se si invoca il legittimo diritto di espressione, turpiloquio compreso, di opinionisti e giornalisti, allora forse ha ragione proprio Paragone nel suo articolo. Dicendo che alla Rai il problema da affrontare non è tanto la presenza, massiccia, di giornalisti evidentemente schierati a sinistra, quanto l’assenza altrettanto plateale, di loro colleghi chiaramente di destra. Nelle reti pubbliche si contano sulle dita di una mano. Al massimo c’è qualche personalità equidistante, ma trovare programmi con rappresentato il mondo della cultura e del giornalismo di destra a rivendicare in modo palese il proprio modo di pensare, nella conduzione, nei temi, nelle inchieste, nell’approccio con gli ospiti, politici e non, è quasi impossibile. E che non si dica che non è facile trovare giornalisti, bravi e preparati, di area conservatrice: ce ne sono, eccome. Non hanno il coraggio di esporsi per il timore di ritorsioni da parte del coro quasi unanime del mainstream progressista? Forse questo è uno dei problemi, ma non certo l’unico: le firme di destra dovrebbero essere maggiormente valorizzate dalla dirigenza di Viale Mazzini, con altrettanti spazi e programmi a disposizione per rappresentare quella grossa porzione – si dovrebbe dire la maggioranza, dati i risultati elettorali – di telespettatori che non si riconosce più in un servizio pubblico troppo schierato. Si tratterebbe di una battaglia culturale importante per cambiare il volto del nostro sistema di informazione e comunicazione, capace di generare un rinnovamento positivo, una boccata d’aria fresca, peraltro nel segno dell’inclusione e non dell’esclusione, per un bilanciamento ed un’equidistanza strutturali nella Rai, da mantenere indipendentemente dalla situazione politica, per un servizio pubblico di tutti.