di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Pochi e in fuga. In Italia la percentuale dei laureati, non solo fra le classi di età più anziane, ma anche tra le nuove generazioni, è piuttosto bassa: tra i 30-34enni, quelli con un’istruzione universitaria da noi sono solo il 26,8%, mentre nell’area Ue27 il 41,6%. Nonostante questo, complice un mercato del lavoro insoddisfacente ed un sistema Paese che sostiene troppo poco i giovani, molti preferiscono emigrare verso realtà nelle quali le professionalità acquisite con la laurea vengono valorizzate e retribuite meglio e dove è più facile costruirsi una condizione di benessere. Un’elaborazione dei dati del Ministero dell’Università e dell’Istat realizzata recentemente dal Sole 24 Ore riporta che a partire è una forbice tra il 5% e l’8% dei laureati italiani e che questa tendenza alla fuga dei talenti, che si era bloccata durante il periodo della pandemia, ora è in piena ripresa. A partire sono soprattutto quelli che servirebbero alla nostra economia ed alla nostra società: medici, ingegneri, informatici. A risentirne soprattutto il Mezzogiorno: il Nord è infatti ancora in parte attraente per i neo-laureati, sia del posto che provenienti dal Sud. I giovani iniziano a guardare all’estero già durante il percorso di studi. I motivi di questa scelta sono semplici. Innanzitutto le retribuzioni: a un anno dal conseguimento del titolo, in Italia un laureato in media percepisce 1.384 euro netti contro i 1.963 guadagnati all’estero, a cinque anni 1.600 euro in Italia contro gli oltre 2.350 all’estero. Da noi, poi, è più difficile ottenere un lavoro a tempo indeterminato: in Italia lavorano con questa tipologia di contratto solo il 27,6% dei giovani laureati, all’estero il 51,8%. C’è, inoltre, la questione più complessa della stessa conformazione del sistema produttivo: nei Paesi verso cui si dirigono i “cervelli in fuga” ci sono grandi aziende pronte ad assumere e solo il 4,6% svolge un lavoro autonomo, mentre questa scelta, spesso obbligata, qui coinvolge il 13% dei giovani laureati. La situazione italiana, fra l’altro, fa sì non solo che molti nostri giovani dottori vadano all’estero, ma anche che pochi di quelli stranieri decidano di stabilirsi nel Belpaese. Ecco quindi che il saldo tra i laureati che se ne vanno e quelli che invece si trasferiscono in Italia è negativo, con ripercussioni sul Pil: circa un punto percentuale perduto. Un danno quantificabile in 300mila euro spesi per la formazione di ognuno, fra investimenti dello Stato e risorse della famiglia, per costruire professionalità di cui si gioveranno in molti casi altre nazioni. Una situazione che danneggia i ragazzi, costretti a lasciare, spesso non per desiderio, ma per cercare una vita migliore, il proprio Paese, ma che pesa su tutti. Uno stato di cose al quale porre rimedio, per il futuro, economico, sociale e culturale, dell’Italia intera.