Con il termine di mismatch si indica il disallineamento fra le competenze di chi cerca una occupazione e le offerte di lavoro delle imprese, una situazione paradossale che pesa sul nostro Paese

Un parterre così ampio probabilmente non si è mai visto. Il Consiglio economico e sociale del lavoro (Cnel) è riuscito a mettere insieme intorno ad un tavolo oltre trenta soggetti diversi per dibattere del disallineamento delle competenze, quello che in inglese viene indicato come il fenomeno del mismatch, per effetto del quale una impresa non riesce a trovare personale con professionalità adeguate da assumere. Un vero e proprio paradosso, in quanto contemporaneamente resta sempre molto alto il tasso di disoccupazione. Un problema che riguarda non solo il nostro Paese, in quanto è comunque diffuso nelle principali economie mondiali (non a caso, ovunque, è forte la richiesta di personale immigrato), ma che in Italia arriva a punte quasi patologiche. È sufficiente scorrere il rapporto Excelsior che mensilmente evidenzia proprio il doppio dato: da una parte, quante imprese vorrebbero assumere e, dall’altra, le enormi difficoltà a coprire i posti vacanti. Il tema del disallineamento è ben presente nel dibattito politico e pure da tempo, tanto è vero che fra i primi a parlarne fu l’allora ministro del lavoro e della previdenza sociale, Gianni De Michelis, alla metà degli anni ’80. Da allora, il legislatore è intervenuto più volte, proponendo ricette più o meno simili che sono rimaste per lo più inattuate. Dopo la legge Biagi, nella quale si parla esplicitamente di libretto formativo della persona, l’ultimo intervento organico è quello contenuto in uno dei decreti attuativi del Jobs act, la riforma del lavoro del governo Renzi del 2015.