di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Serve un progetto per il futuro, anche demografico, del Paese. Non solo per contrastare l’allarme estinzione lanciato da molti studiosi, ma anche per più prosaiche questioni di tenuta dei conti pubblici. Del resto, per limitarsi alla sola questione previdenziale, come ha detto recentemente il ministro dell’Economia Giorgetti «senza figli non c’è riforma delle pensioni sostenibile», ma in realtà i danni a breve e lungo termine causati dall’invecchiamento della popolazione e dal crollo delle nascite sono anche molti altri. La questione denatalità è strettamente collegata a quella giovanile: se le nuove generazioni, quelle che dovrebbero per ragioni anagrafiche mettere su famiglia, sono imbrigliate nel lavoro precario e nell’esclusione sociale non potendo fare progetti per il futuro né pensare a crescere dei figli, difficilmente si riuscirà a porre rimedio a questa situazione. I dati testimoniano l’esclusione dei giovani e delle giovani donne dal mondo del lavoro stabile: negli ultimi dieci anni i giovani occupati sono calati del 7,6%, mentre per quasi la metà delle donne giovani il lavoro ha una forma contrattuale non standard. Non solo: l’85% delle dimissioni fra le lavoratrici è connesso alla maternità. Insomma, per i giovani e ancora di più per le giovani donne non sembra esserci posto nel mondo del lavoro, nonostante il fatto che la popolazione in età attiva sia in costante diminuzione. Vent’anni fa, nel 2003, la popolazione nella fascia d’età fra 15 e 64 anni rappresentava il 66,8% del totale, quella fra 0 e 14 anni il 14,2%, gli ultra 65enni il 19%. Oggi sono, rispettivamente, il 63,5%, il 12,7% ed il 23,8%. Come fare per cercare di modificare una simile situazione? Nonostante alla base di questo fenomeno ci siano tanti fattori, anche culturali, il nesso fra denatalità e lavoro resta evidente. Il ministro della Famiglia Eugenia Roccella ha così ideato un piano per la natalità incentrato sul mondo del lavoro: il “Codice di autodisciplina delle imprese in favore della maternità”. L’obiettivo, quello di sollecitare l’adesione delle aziende alle migliori pratiche “family friendly”, che hanno dimostrato di funzionare. Per il momento, problema ricorrente nel Paese, si tratta di azioni più facilmente perseguibili da parte delle grandi aziende e più difficili da attuare per le piccole e piccolissime imprese e su questo ci sarà da ragionare. Essenzialmente queste politiche aziendali si suddividono in quattro macro-aree: il sostegno alla continuità della carriera delle lavoratrici dopo la maternità, le iniziative aziendali per la salute dei dipendenti con attenzione particolare verso la medicina di genere, la promozione degli strumenti di conciliazione tra vita professionale e privata come la flessibilità oraria, il part-time e lo smartworking ed infine un sostegno economico da parte dell’impresa per contribuire alle spese sostenute dai dipendenti per la cura e l’educazione dei figli. Un progetto importante, perché l’inverno demografico va combattuto con iniziative concrete, anche e soprattutto nel mondo del lavoro.