di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Una nuova frontiera per il mondo del lavoro, quella della settimana corta, di quattro giorni anziché cinque, garantendo la stessa produttività o anche prestazioni migliori, ma con una maggiore conciliazione fra vita professionale e privata per i dipendenti. Perché il problema resta quello del bisogno di maggiore tempo da dedicare alla vita privata ed alla famiglia, come dimostra il sondaggio svolto da Manpower Group in vari Paesi europei, di cui parla oggi il Sole 24 Ore, in base al quale oltre un terzo delle lavoratrici donne rinuncerebbe a un 5% di stipendio pur di poter lavorare un giorno in meno. Una questione che si connette a quella dello smartworking sperimentato in modo massiccio a causa della pandemia e che ha permesso a molti dipendenti una maggiore disponibilità di tempo libero a pari orario di lavoro e pari stipendio, eliminando i tempi del tragitto casa-ufficio, ed ha consentito una migliore conciliazione tra lavoro e vita privata. Uno strumento, però, riservato nel post-Covid soprattutto alla categoria degli impiegati non a contatto con il pubblico, mentre la settimana corta sarebbe indirizzata stavolta anche e soprattutto al mondo dell’industria e dei servizi nei quali è necessaria la presenza sul posto di lavoro. Ad esempio, si sta muovendo autonomamente in questa direzione qualche istituto di credito, come Intesa Sanpaolo. Grandi aziende in grado di mantenere i propri livelli di produzione anche con un sistema di turnazione su quattro giorni lavorativi. Più difficile immaginare che possa accadere lo stesso nelle piccole e piccolissime imprese che costituiscono la larga parte del tessuto produttivo italiano. Una prospettiva comunque interessante e da sperimentare ove possibile per permettere la diffusione di strumenti variegati di conciliazione in base alla struttura delle imprese ed alla tipologia di lavoro svolto, ampliando per i lavoratori le opportunità di una maggiore work-life balance. Possibili varie soluzioni: un approccio graduale, a parità di costo del lavoro, aumentando l’orario, da otto a nove ore, per ridurre le giornate di lavoro, oppure diminuire l’impegno settimanale riducendo anche lo stipendio, in sintesi con un part-time verticale diffuso. O, infine, realizzare la vera e propria settimana corta a pari stipendio, che del resto ove applicata ha dato risultati positivi in termini di produttività, usufruendo in senso ridistributivo delle potenzialità offerte dai progressi tecnologici, dall’automazione e dalla digitalizzazione. Con un cambiamento anche culturale del rapporto fra azienda e dipendenti, meno legato all’orario svolto e invece più connesso ai risultati raggiunti. Un cambiamento non facile da ottenere, ma per raggiungere il quale potrebbe inserirsi a pieno titolo la formula, cara all’Ugl, della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, che garantisce per sua stessa natura una migliore unità di intenti fra dirigenza e dipendenti, magari da sponsorizzare attraverso maggiori strumenti di incentivazione per le aziende che aderissero a questo modello.