Attacchi e contrattacchi. Dopo un anno, la situazione appare in stallo, con combattimenti molto violenti

L’obiettivo dell’Operazione speciale avviata dalle truppe russe su ordine del presidente Putin, per la disposizione in campo delle forze, appare da subito quello di occupare l’Ucraina, mettere sotto pressione Zelensky e costringerlo alla resa e alla fuga. Il dispiegamento delle forze e, soprattutto, l’azione concentrica con ingresso anche dai confini della Bielorussia evidenziano, chiaramente, che lo scopo è di chiudere la partita il prima possibile, arrivando alla capitale Kiev, e non semplicemente quello di sostenere le repubbliche popolari di Doneck e di Lugansk. Del resto, erano ormai mesi che andavano avanti i preparativi, almeno dalla primavera del 2021; contemporaneamente, la Russia ha continuato a protestare per l’avvicinamento fra la stessa Ucraina e la Nato. Non a caso in quelle settimane si parla molto anche degli interessi in Ucraina di Hunter Biden, figlio del presidente americano Joe Biden. Entrando in Ucraina all’alba del 24 febbraio, l’esercito russo non avrebbe mai immaginato una così forte resistenza da parte delle truppe di Zelensky, tanto è vero che, fallito lo sfondamento iniziale, è iniziato un aspro conflitto, caratterizzato da alterne vicende. Dopo un anno, la fotografia che emerge è quella di un consolidamento della presenza russa nella parte meridionale del territorio ucraino, con allargamento di quelli che erano gli ipotetici confini delle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. Allargamento ad ovest anche dalla Crimea verso Kherson, ma non Odessa.