La penisola di Crimea è da sempre strategica per il controllo dei traffici sul Mar Nero. L’Assemblea generale delle Nazioni unite non ha riconosciuto la validità dei referendum che hanno interessato anche la regione del Donbass, con la costituzione delle repubbliche filorusse di Doneck e Lugansk

Alle 5,30 del mattino del 24 febbraio del 2022, l’esercito russo avvia quella che viene definita dallo stesso presidente Vladimir Putin l’Operazione speciale contro l’Ucraina. L’obiettivo iniziale non è immediatamente chiaro, o, meglio ancora, cambia nel corso dei mesi seguenti. È necessario infatti fare un passo indietro, almeno fino al 2014, da quando l’allora presidente ucraino Viktor Janukovic è costretto a lasciare la guida del Paese, contemporaneamente all’inasprirsi dei contrasti in Crimea e nelle altre regioni ucraine dove è presente una popolazione di lingua russa. Dopo alcune sommosse filorusse, l’intervento delle truppe mandate da Mosca favorisce la tenuta di un referendum (16 marzo 2014) con il quale la popolazione decide di passare sotto il controllo russo; è opportuno ricordare che l’Assemblea generale delle Nazioni unite, sebbene a maggioranza, non riconosce la validità del referendum. Dalla penisola di Crimea, le rivolte filorusse si estendono anche nell’entroterra, in particolare nella regione del Donbass, con il successivo referendum dell’11 maggio che istituisce le due repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. Gli accordi di Minsk del 5 settembre del 2014 portano ad una fragile tregua fra Russia e Ucraina. Alla prova dei fatti, negli anni a seguire, si è continuato a combattere anche se in maniera poco evidente. Quasi a sorpresa, il 20 maggio del 2019, Volodymir Zelensky diventa presidente dell’Ucraina, sconfiggendo il presidente uscente Petro Porosenko, con il 73% dei voti.