I calcoli della CGIA di Mestre. Riqualificato solo il 3,1% degli edifici residenziali

Il «Superbonus ha provocato un costo in capo alla fiscalità generale spaventoso e non proporzionale al numero di edifici che sono stati “efficientati”». È quanto si legge in un’analisi realizzata dalla CGIA in occasione del decreto con il quale il governo vuole cancellare gli sconti in fattura e la cessione del credito, in favore della sola detrazione in sede di dichiarazione dei redditi. Secondo lo studio, a fronte di poco più di 372 mila asseverazioni depositate tra il 1° luglio del 2020 ed il 31 dicembre del 2022, «lo Stato, con il cosiddetto 110%, dovrà farsi carico di una spesa di 71,7 miliardi di euro». Secondo la CGIA, però, la misura avrebbe interessato solo il 3,1% del totale degli immobili ad uso abitativo presenti sul territorio nazionale (circa 12,2 milioni gli edifici rientranti in questa categoria, stando all’ultimo censimento disponibile). In altre parole, specifica l’associazione di categoria, «avendo dato la possibilità ai proprietari di riqualificare queste unità abitative con la detrazione fiscale del 110 per cento, lo Stato si è addossato un costo pari a 72,7 miliardi di euro per migliorare l’efficienza energetica di una quota ridottissima di edifici presenti nel Paese». A ciò si aggiunge poi la bolla inflattiva che è venuta a crearsi a causa dell’elevata domanda di materie prime, alcune delle quali difficilmente reperibili per diverso tempo. L’analisi dell’andamento territoriale mostra che la regione dove si è ricorso maggiormente al Superbonus 110% è stato il Veneto, con un’incidenza di asseverazioni sul totale degli edifici residenziali del 4,4% Seguono la Toscana, con il 4,4%, e la Lombardia 3,9%.