di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

I dati sull’astensionismo emersi alle ultime regionali si sono rivelati altissimi, anche più del previsto, con solo un 40% di partecipanti rispetto agli aventi diritto, media fra i votanti della Lombardia, il 41,68%, e quelli del Lazio, addirittura al 37,2%. Numeri impressionanti, alla base di dibattiti nei quali ci si interroga sulle motivazioni di una simile disaffezione al voto e su cosa fare per cambiare le cose. Spunti sui quali riflettere vengono, ad esempio, da un paio di articoli recenti. Il primo, “Giovani senza partito”, pubblicato ieri dal Corriere della Sera, che analizza come l’astensionismo sia ancora più marcato fra le nuove generazioni, più inclini ad altre forme di partecipazione alla vita pubblica, il secondo uscito oggi su La Repubblica, che lancia l’idea del “Voto online contro l’astensione”, nel tentativo di convincere un numero maggiore di elettori a votare. Più che per la scomodità del tragitto tra casa e seggio, oltre che per gli scandali purtroppo frequenti da aggiungere a un decennio di “commissariamento” tecnico non indolore, la disaffezione è nata, a pensarci bene, soprattutto a causa del progressivo allontanamento dei vertici della politica dalla base popolare, con la scomparsa dei presidi territoriali, della partecipazione quotidiana, della formazione degli attivisti, di quella concezione meritocratica che portava ad un coinvolgimento progressivo, a livelli sempre più alti, dei militanti più preparati ed impegnati. Ora, con certo molte differenze fra le varie sigle, tutto è cambiato e la politica si è fatta troppo elitaria e chiusa, mentre alla “base” è rimasto un coinvolgimento solo virtuale, sui social. Ci mancherebbe che ora diventasse virtuale anche il voto. Bisognerebbe, al contrario, ripartire dal reale, dal concreto, dalle “sezioni”, per poi arrivare alle alte affluenze alle elezioni che si registravano anni e decenni fa. Spesso si parla dell’allontanamento dei lavoratori dal sindacato. Eppure, il legame costante con i luoghi di lavoro è rimasto, anche in presenza di un mondo del lavoro profondamente mutato negli ultimi decenni. Con la globalizzazione, la concorrenza asiatica, il cambiamento del tessuto produttivo, la nascita delle forme di impiego a tempo determinato, la digitalizzazione, l’affievolimento della differenza fra lavoro dipendente e autonomo, nel mondo del lavoro sono avvenute metamorfosi molto più profonde, a pensarci bene, rispetto a quelle che nello stesso lasso di tempo hanno riguardato il mondo della politica. Ma, attraverso una presenza capillare nelle fabbriche e negli uffici, con il lavoro meritorio dei rappresentanti sindacali, con le strutture dedicate all’assistenza ai cittadini, con meccanismi consolidati e partecipativi di selezione della classe dirigente, forse, nonostante la solita vulgata piuttosto critica che spesso subisce, il sindacato, in proporzione, ha retto meglio della politica al passaggio alla modernità.