di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Dopo le regionali di Lazio e Lombardia che hanno premiato la destra con l’elezione di Rocca e Fontana, mentre i vincitori giustamente esultano, per la variegata compagine degli sconfitti dovrebbe iniziare il momento non tanto delle recriminazioni e delle invettive, quanto quella dei bilanci e dei progetti. Delle tre formazioni principali del centrosinistra italiano, quella più solida resta il Pd. Un partito sicuramente più strutturato e capace di mantenere, anche nei momenti di maggior calo dei consensi, almeno la fiducia di una parte fidelizzata dell’elettorato. Bene ha fatto il Partito Democratico a posticipare il congresso, per non “bruciare” anche il segretario nuovo con la scontata sconfitta nelle urne, rivelatasi tra l’altro più sonora del previsto. Ora, però, per riconquistare il terreno perduto, chiunque vincerà nella sfida interna per il comando del Nazareno dovrebbe interrogarsi seriamente sulle ragioni della disaffezione degli elettori meno politicizzati, che hanno preferito altri partiti o, in tanti, l’astensione. Non basta una stampa fin troppo amica per far dimenticare ai cittadini il declino economico e sociale del Paese avvenuto nell’ultimo decennio a guida Pd, tanto meno gli scandali che hanno coinvolto importanti esponenti del partito, dal caso mascherine nel Lazio – ecco una delle ragioni della sconfitta – al Quatargate. Servirebbero non solo volti nuovi ed una più attenta selezione della classe dirigente, ma, soprattutto, proposte politiche diverse: con la crisi ormai manifesta del modello di globalizzazione nato negli anni Novanta è entrato in crisi anche il Pd, principale interprete in Italia di quella visione, e ora ci vorrebbero idee più fresche. Ancora più difficile la situazione degli altri due maggiori partiti della sinistra italiana, M5s e Terzo Polo. I 5 stelle continuano a perdere voti e l’exploit del 2018 appare lontanissimo. Con una proposta politica completamente differente rispetto al passato, non più il movimento post-ideologico di Grillo e Casaleggio, ma quasi una riedizione delle vecchie sigle dell’estrema sinistra del secolo scorso, Conte ottiene più o meno la stessa, bassa, percentuale di elettori che avevano, ai loro tempi, Cossutta e Bertinotti. Infine, il cosiddetto Terzo Polo, autoproclamatosi tale, ma in realtà piuttosto marginale. Gli elettori – che, con buona pace di Carlo Calenda, hanno sempre ragione – non hanno visto in questa sigla un’alternativa al bipolarismo, quanto piuttosto un maldestro tentativo di portare in dote alla sinistra i voti dei moderati di destra. Tre formazioni in crisi, perdenti se divise, ma poco credibili e quindi ancora meno votate se unite. Un dilemma da risolvere, perché, comunque, al Paese servirebbe non solo un governo forte come quello del centrodestra guidato da Giorgia Meloni, ma anche un’opposizione di sinistra seria ed affidabile.