Calenda insiste, ma la strada resta sempre quella della contrattazione collettiva

La questione del salario minimo per legge rischia di diventare un caso politico, uscendo così da quelli che dovrebbero essere i suoi binari più congeniali, vale a dire quelli del confronto fra il Ministero e le parti sociali, con successivo coinvolgimento del Parlamento. Come noto, qualche giorno fa, il leader di Azione, Carlo Calenda, già Ministro per lo sviluppo economico nell’esecutivo Renzi, aveva proposto al Partito democratico e al Movimento 5 Stelle di fare fronte comune, chiedendo l’introduzione di un salario minimo legale a nove euro l’ora. Se il Movimento 5 Stelle ha rivendicato una sorta di primogenitura sull’idea, dai Democratici la risposta si è fatta attendere, tanto è vero che lo stesso Calenda ha aggiunto che una proposta unitaria non ci sarà mai, in quanto «la Cgil non vuole». Ora, però, è arrivata la risposta Stefano Bonaccini, colui che secondo i sondaggi dovrebbe prendere il testimone da Enrico Letta. Resta, però, la questione di fondo che, al momento, le minoranze parlamentari sono lontane da quelle che sono le proposte arrivate da praticamente tutte le parti sociali. Dalla Cisl alla Ugl, ma anche da Confindustria e a Confcommercio, l’indicazione che era già arrivata ai Ministri Nunzia Catalfo e Andrea Orlano è che la contrattazione collettiva è centrale perché permette di bilanciare le retribuzioni con l’orario di lavoro e tutto il sistema di welfare integrativo.