Lavoro agile: in Italia appena il 14,9% degli occupati svolge parte dell’attività da remoto. È quanto emerge dalle ultime analisi Inapp presentate oggi nel corso della giornata di studi sul tema

Secondo quanto emerge dalle ultime analisi Inapp presentate oggi nel corso della giornata di studi “Lavoro agile, definizioni ed esperienze di misurazione” che si è tenuta a Roma presso l’auditorium dell’Inapp, il lavoro da remoto non decolla. Ecco i dati: in Italia è appena il 14,9% degli occupati a svolgere parte dell’attività da remoto, ma potrebbe essere quasi il 40%, considerando la potenziale telelavorabilità. Pertanto, la quota che effettivamente si traduce in lavoro a distanza è minoritaria, nonostante il boom che si è avuto nel 2020, in piena pandemia, quando si è passati dal 4,8% dell’anno precedente al 13,7%. I dati dicono anche che la quota del lavoro da remoto varia dal 25% per le professioni intellettuali o esecutive al 2% di quelle non qualificate. Un primo freno è rappresentato dai datori di lavoro nel settore privato extra-agricolo: per le imprese fino a 5 dipendenti l’84% dei lavoratori svolge mansioni che non possono essere eseguite a distanza, ma al crescere della dimensione dell’azienda si riduce tale quota (il 56,4% fra quelle medie, 50-249 addetti e 34,2% fra le realtà con oltre 250 addetti). Nel 2021 solo il 13,3% delle imprese intervistate ha utilizzato tale modalità. A svolgere un lavoro telelavorabile sono soprattutto i laureati, i dipendenti delle imprese di grandi dimensioni, gli occupati nei servizi e i dipendenti pubblici. Incidenze leggermente superiori alla media delle professioni telelavorabili si rilevano tra le donne, i residenti nel Nord Ovest e nel Centro e le persone con diploma. Dunque, in Italia nel mondo del lavoro il lavoro agile non rappresenta (ancora) quel cambiamento di paradigma lavorativo che, dopo la pandemia, ci si aspettava. Nel 2019 solo il 14,6% degli occupati in Europa lavorava abitualmente da casa e lo scenario era piuttosto eterogeneo, con i Paesi Bassi in cui tale modalità raggiungeva il 37,2%. Con il dilagare del Covid, alcuni Paesi, che già nel 2019 mostravano valori superiori alla media UE, hanno intrapreso un trend di crescita nei due anni successivi (Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Danimarca, Francia, Estonia, Malta e Portogallo). L’Italia, che nel 2019 aveva percentuali al di sotto della media europea, con l’emergenza sanitaria ha raddoppiato tali valori, ma nel 2021 il tasso di crescita del ricorso al lavoro agile è decisamente rallentato (4,8% nel 2019, 13,7% nel 2020, 14,9% nel 2021 secondo i dati EU-LFS, con valori ancora più bassi tra i dipendenti: dall’1,7% del 2019 al 12,1 del 2020 e al 13,8 del 2021). Vi è anche una differenza di genere: gli uomini apprezzano in particolare la maggior autonomia, mentre le donne mostrano maggiore preoccupazione riguardo alle prospettive di carriera (50,9%), ai diritti e alle tutele sindacali (52,8%) e al maggiore controllo da parte del datore di lavoro (53,3%).