di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Al tavolo sulle politiche industriali convocato dal ministro Urso, si è parlato del rilancio della manifattura italiana nel contesto europeo ed internazionale. Necessario, è stato detto, fare squadra a livello europeo con una politica industriale, commerciale e finanziaria comune, che preveda una riforma del patto di stabilità e la possibilità di creare un fondo sovrano europeo. Altrettanto doveroso – per evitare quella concorrenza sleale che tanto ci ha penalizzato – prevedere, negli accordi bilaterali, il rispetto degli standard sociali e ambientali europei ed anche procedere verso acquisti collettivi di energia ed anche di materie prime. Come sindacato abbiamo ribadito l’importanza di alcuni settori strategici del Paese, dalla siderurgia all’aerospazio, passando per l’automotive, la chimica, la farmaceutica e la difesa, senza dimenticare il settore agroalimentare e la moda, ovvero le “punte di diamante” del Made in Italy, spesso oggetto di attacchi da parte di economie concorrenti. Nonostante le difficoltà, i due anni di pandemia ed ora un altro di guerra in Ucraina, l’industria italiana ha tenuto. Ora serve qualcosa in più, una spinta per innescare sviluppo e crescita, in una partita che si intreccia con quella del Pnrr ed anche con quel progetto per l’energia significativamente definito “Piano Mattei”, di scambio paritario con i Paesi del Nord Africa per la trasformazione dell’Italia non solo in un hub energetico per l’Europa, ma anche in uno Stato protagonista dal punto di vista oltre che economico anche politico nell’area del Mediterraneo, come dovrebbe essere, del resto, per storia e posizionamento geografico. Un progetto tanto complesso quanto lungimirante, di cui il Paese avrebbe bisogno e che ci auguriamo si concretizzi presto. Che, però, non può prescindere da una componente fondamentale: il cosiddetto “capitale umano”. Servono competenze adeguate, che spesso si fatica ad individuare. Ne abbiamo conferma da tanti dati che si incrociano: troppi giovani “Neet”, altrettante figure professionali che sarebbero necessarie alle imprese, ma che non ci sono in numero sufficiente. A supporto di un piano di sviluppo industriale occorrono riforme nel mondo dell’istruzione e della formazione, dando vita a percorsi in linea con i fabbisogni delle imprese. Una scuola che aiuti e valorizzi le competenze, per far sì che non siano più “introvabili” i laureati necessari in discipline sanitarie, matematiche, fisiche e informatiche, ingegneristiche e dell’informazione. Che si realizzi finalmente l’avviata valorizzazione degli istituti professionali e che prenda forma il liceo del made in Italy. Cambiando anche la mentalità diffusa, con una vera e propria “rivoluzione culturale”: dal pessimismo rassegnato degli ultimi anni, che ha portato tanti giovani a rinunciare ai propri sogni oppure a lasciare il Paese, la politica deve riuscire ad infondere una motivata speranza nel cambiamento che permetta alle nuove generazioni di poter, a ragione, immaginare e quindi impegnarsi per un futuro migliore, per se stesse e per l’Italia.