di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Si era proclamato, durante il periodo più caldo della pandemia, e, in particolare, da parte dell’allora ministro della Sanità, che il Servizio Sanitario Nazionale è il bene più prezioso che abbiamo, che la spesa pubblica in Sanità non sarebbe mai più dovuta scendere al di sotto del 7%. Sono state rivalutate in senso eroico, almeno a parole, tutte le professioni e le figure operanti nel Ssn ed è stata compresa la necessità di rivalutare il Servizio stesso. Oggi Speranza si fa forte dell’essere all’opposizione e invia i suoi strali contro un Governo eletto da pochi mesi, il quale, a suo dire, ha (già) fallito perché, alla luce di quanto accaduto in Cina a dicembre scorso, non aveva senso abbassare la guardia contro il virus. Dai recenti dati Gimbe, emerge invece che contagi, ricoveri e decessi da Covid-19 sono in diminuzione. Così la preconizzata nuova andata – la foglia di fico che ha protetto per due esecutivi l’ex ministro – non si sta manifestando.
Ciò che emerge e che resta, invece, in tutta la sua evidenza sono i problemi del Servizio sanitario nazionale italiano, dei quali è responsabile anche l’ex ministro Speranza. Oltre ai medici venuti dall’estero, assistiamo al crescente fenomeno dei “medici a gettone”, cioè con contratti a chiamata, spesso non specializzati per il reparto al quale vengono assegnati. Possono arrivare a coprire in un solo giorno turni doppi e tripli, a discapito, della cura e del rapporto con il paziente. Nessuno, Speranza compreso, ad oggi ha risolto problemi come le retribuzioni basse, i ritmi di lavoro stressanti, l’età del personale elevata, l’errata pianificazione.
In più, secondo quanto emerge dal 18° Rapporto del C.R.E.A. Sanità, al finanziamento della Sanità pubblica italiana mancano almeno 50 miliardi di euro (minimo) per avere un’incidenza media sul Pil analoga agli altri paesi Ue. La spesa sanitaria in Italia ha registrato nel 2021, quando cioè era ministro della Salute Roberto Speranza, una forbice del -38% circa, pari a -12% di spesa privata e addirittura -44% circa di spesa pubblica. Per recuperare il gap, servirebbe una crescita annua del finanziamento pari a 10 miliardi di euro per 5 anni, più quanto necessario per garantire i medesimi livelli di crescita di altri Paesi europei presi a riferimento (altri 5 miliardi di euro). Abbiamo più che mai bisogno di crescere per salvare uno dei nostri beni più preziosi, che, nonostante i poderosi tagli ai finanziamenti subiti almeno dal 2015 in poi, ha dimostrato di sapersi adattare, riuscendo comunque a prestare servizio – sappiamo a quale prezzo umano – negli anni bui della pandemia e potrebbe, secondo alcuni, essere chiamato a farlo ancora. Allora, non lasciamolo più da solo a combattere, perché stavolta rischia di andare sulla malaugurata strada di un irreversibile declino, a fronte di una povertà sempre più dilagante, anche a causa di nuove sfide, come quella rappresentata dalla transizione ecologica, che devono ancora arrivare.