Sorprende negativamente il fatto che i precedenti governi non siano riusciti, per ragioni diverse, a dare seguito ad alcune autorizzazioni ad assumere personale nei ministeri e in altri enti, cosa che provoca disservizi al cittadino ed un carico di lavoro eccessivo per i dipendenti già in organico

Con la fine dell’anno, si rinnova quello che è ormai un classico appuntamento che il Parlamento si trova ad affrontare quasi in contemporanea con l’approvazione della Legge di bilancio. Si tratta del decreto-legge noto come decreto Milleproroghe, pubblicato in gazzetta ufficiale con il numero 198. Al solito, questo provvedimento urgente permette al governo di prorogare i termini di alcune scadenze che, per ragioni diverse, non hanno trovato spazio all’interno della manovra finanziaria. Il problema che si pone, però, è che, a fronte di alcune proroghe che oggettivamente appaiono necessarie, in altri casi la mancata attuazione di determinate disposizioni è imputabile all’inerzia di una amministrazione pubblica o all’appesantimento burocratico. Capita così, per esempio, che ci si trovi davanti alla reiterazione di autorizzazioni ad assumere che risalgono addirittura al 2013. Una situazione paradossale che finisce per penalizzare il cittadino sul versante dei minori servizi erogati, ma anche lo stesso dipendente pubblico che si trova a sopportare un carico di lavoro più ampio del dovuto, proprio per le carenze d’organico. Senza dimenticare, naturalmente, le conseguenze delle mancate assunzioni nel pubblico impiego in un Paese come il nostro che presenta tassi di disoccupazione e di inattività sopra la media dei principali partner europei. Mentre il Parlamento ha appena avviato la fase conoscitiva, con l’audizione, fra gli altri, dei rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, che porterà alla conversione in legge del provvedimento, l’auspicio che si formula è, per i prossimi anni, il decreto Milleproroghe possa ritornare essere ricondotto in un alveo di normalità, come è giusto che sia.