di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

In questi giorni in cui tutti festeggiamo, finalmente, dopo una latitanza durata trent’anni, la cattura del boss mafioso Matteo Messina Denaro, responsabile, fra le altre cose, anche del rapimento e dell’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, da noi, nella sede confederale dell’Ugl, abbiamo organizzato una cerimonia di ostensione della reliquia del giudice Rosario Livatino, primo magistrato beato nella storia della Chiesa. Un incontro che offre a tutta la nostra comunità l’opportunità di riflettere sul sacrificio dell’uomo e del magistrato in prima fila nella lotta alla mafia. Un evento particolare, religioso e laico nello stesso tempo, una tappa nell’ambito della prima solenne Peregrinatio Beati Rosarii Livatino – Fidei et Justitiae Martyris, organizzata dall’arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani. Perché il giudice Livatino è il primo magistrato dichiarato beato e martire nella storia della Chiesa, oltre che un esempio mirabile di fedeltà e attaccamento agli ideali di giustizia e ai valori fondamentali della Repubblica, valori che sono alla base anche del nostro impegno sindacale. Una storia emblematica, quella del giudice: una vita dedicata alla giustizia ed alla fede. Siciliano, nato nel ‘52 a Canicattì, nell’agrigentino, dopo un brillante percorso di studi ed una laurea conseguita “cum laude”, giovanissimo entrò in magistratura, occupandosi sin da subito di criminalità organizzata, tangenti, corruzione nella gestione della cosa pubblica, rapporti fra politica e mafia. Cercò di incarnare il suo ideale di magistrato basato su un’etica rigorosa, un’assoluta autonomia dalla politica, un’apertura al dialogo ed al rispetto, senza cedere ad alcun tipo di condizionamento. In questo percorso, umano prima ancora che professionale, si rafforzò anche la fede del magistrato, che ricevette solo da adulto, a 36 anni, e con convinzione, il sacramento della Cresima, il 29 ottobre del 1988. Per questo la data in cui viene ricordato come beato dalla Chiesa è proprio quella del 29 ottobre. A causa delle sue indagini contro la mafia venne assassinato il 21 settembre 1990, a soli 38 anni, mentre percorreva senza scorta una strada provinciale per recarsi in tribunale ad Agrigento. Ucciso per mano di quattro killer della cosiddetta “Stidda”, associazione criminale simile ma concorrente a “Cosa nostra”. Grazie alla presenza di un passante, testimone oculare del delitto, furono individuati ed assicurati alla giustizia i malviventi responsabili dell’omicidio. Dopo la sua morte iniziò una lunga causa di beatificazione, con la santità del giudice riconosciuta dalla Chiesa, anche grazie a varie testimonianze, fra cui quella di uno dei suoi assassini, solo il 9 maggio 2021 e proclamata nella Cattedrale di Agrigento, nell’anniversario della visita apostolica di papa Giovanni Paolo II, che già molti anni prima aveva definito Livatino «martire della giustizia e indirettamente della fede». Un eroe italiano, un beato per i cattolici, comunque un grande esempio di rettitudine di cui ricordare, a monito, una celebre citazione: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili».