di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Lo diciamo da ormai molti anni: l’Unione ha avuto un approccio piuttosto discutibile nei confronti della globalizzazione, un atteggiamento che, nel complesso, non ha favorito gli interessi del nostro Paese e, tutto sommato, neanche quelli comuni. L’Europa, continente dall’antichissima tradizione manifatturiera, ha perso terreno nei confronti delle economie concorrenti, con effetti dal punto di vista sociale – la popolazione ha risentito in senso negativo di un cambiamento mal governato, con un generale impoverimento ed una diminuzione delle sicurezze e delle prospettive di inclusione – ma anche dal punto di vista della sicurezza. L’abbiamo visto nelle crisi recenti, dalla pandemia alla guerra in Ucraina. Si è innescata, per riassumere la questione a grandi linee, più una competizione interna fra gli Stati membri, che, come invece sarebbe stato opportuno, un’efficace collaborazione per rendere l’Unione più competitiva e forte anche di fronte al mutato contesto economico e politico generato dalla globalizzazione. Se questo è accaduto negli anni passati, ora la situazione è ancora più emergenziale: i processi di transizione in corso, le molteplici incognite legate all’attuale congiuntura economica e le numerose sfide derivanti dalla competizione nello scenario globale, impongono scelte lungimiranti a tutela delle industrie nazionali ed europee. Adesso la questione è prioritaria, anche a causa del piano statunitense contro l’inflazione, l’Ira, che impone all’Europa contromisure adeguate. Ursula von der Leyen ha annunciato soluzioni nuove e norme semplificate e velocizzate sulla questione aiuti di Stato nell’attuazione del secondo pilastro del piano industriale del Green Deal, una risposta che però va calibrata bene, per evitare autogol, come dichiarato dal nostro ministro Giorgetti, che ha parlato della necessità di forme comuni di finanziamento dei progetti strategici europei. Anche secondo il commissario Gentiloni non serve solo una semplificazione degli aiuti di Stato, ma soprattutto un finanziamento comune: «La scala del rafforzamento della nostra competitività in molte aree deve essere europea». Insomma, il tema fondamentale della riforma degli aiuti di Stato non deve risolversi in una nuova competizione interna, fra Paesi più ricchi, che possono permettersi maggiori aiuti, e Stati più poveri o indebitati, come l’Italia, ma dovrebbe trasformarsi in un’occasione di rinnovamento per un sostegno mirato all’economia ed allo sviluppo, ma anche, allo stesso tempo, all’occupazione, per un benessere diffuso. Nell’obiettivo di un maggior grado di indipendenza dell’Unione nel contesto internazionale. Serve un cambio di passo, uno spirito di effettiva cooperazione di fronte alle sfide comuni che, come ci hanno dimostrato gli eventi recenti, richiedono, per avere risposte adeguate, che si concretizzi una nuova idea di Europa.