di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

L’occasione dell’insediamento del nuovo ambasciatore in Italia della Repubblica Islamica dell’Iran, Mohammad Reza Sabouri, ha dato il via ad un serrato botta e risposta fra il nostro Presidente Sergio Mattarella e il diplomatico stesso. Il Quirinale ha espresso la ferma condanna della Repubblica Italiana per le condanne a morte e le esecuzioni di molti dimostranti ed anche l’indignazione personale del Capo dello Stato per la brutale repressione delle manifestazioni. Elemento, quest’ultimo, fortissimo rispetto alla consueta impersonalità del cerimoniale: una presa di posizione chiara e netta. Altrettanto dure le parole del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha chiesto un’immediata moratoria della pena di morte: «Non si può condannare chi ha partecipato a manifestazioni, chiediamo a Teheran che si confronti con donne e giovani». In mattinata è arrivata la risposta tagliente dell’ambasciatore, che ha rivendicato le azioni del proprio governo affermando che rispettano la legge iraniana, che le persone giustiziate hanno avuto un processo equo e che la violenza delle manifestazioni è tale da renderle intollerabili: «Non accettiamo che altri Paesi vogliano imporre la loro cultura», così Sabouri. Eppure le notizie che ci giungono dall’Iran non lasciano adito a dubbi: il regime sta mettendo in atto una durissima azione repressiva nei confronti dei manifestanti. Tanti i giovani, fra questi moltissime donne, che da settimane e con grandissimo coraggio continuano a protestare contro lo Stato degli Ayatollah e le sue leggi oscurantiste e violente. Centinaia di manifestanti colpiti dalle forze dell’ordine iraniane con ferocia inaudita, con armi da guerra puntate contro chi scende in piazza, mirando alle parti più vulnerabili, per lasciare danni permanenti, specie agli occhi. Decine di persone imprigionate, torturate e uccise, non solo per aver manifestato, ma anche solo per aver espresso solidarietà o aiutato i manifestanti. Un utilizzo quotidiano della pena di morte, con le organizzazioni internazionali ancora in grado di monitorare la situazione al di là delle veline del governo, che parlano di circa cinquecento persone giustiziate nel solo 2022. Resta un dilemma da risolvere. Cosa fare, come agire concretamente per fermare le violenze? Sempre il ministro Tajani ha affermato che «le istituzioni europee stanno studiando una strategia che permetta di dare continue risposte proporzionate all’aggressività del regime iraniano». Anche l’Onu ha condannato la repressione. Ma nel nostro mondo così interconnesso continuano a stridere le strade parallele percorse da un lato dai valori e diritti da noi in Occidente considerati irrinunciabili e dall’altro dalle strette connessioni economiche con Paesi nei quali la situazione è ben altra, dal Qatar alla Cina, dall’Arabia Saudita al caso, ora urgentissimo, dell’Iran.