di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Ogni giorno possiamo osservare gli effetti concreti dell’inflazione, dell’aumento dei prezzi dei prodotti di consumo, dei servizi, dei carburanti. Rincari che, ovviamente, pesano di più sul bilancio delle famiglie meno abbienti e dei lavoratori italiani, i cui stipendi, come sappiamo e ricordiamo spesso, sono troppo bassi rispetto alla media europea e, soprattutto, pressoché fermi negli anni, di fatto diminuiti in termini reali, come hanno attestato vari studi, tra i quali il Global Wage Report 2022-2023 dell’Ilo, Organizzazione internazionale del Lavoro. Tutto questo fa sì che la spirale inflazionistica nella quale è precipitata l’economia sia particolarmente preoccupante, capace di diminuire ulteriormente il potere d’acquisto dei lavoratori italiani e, parallelamente, aumentare il già troppo ampio divario sociale. Insomma, bisogna combattere, certamente, inflazione e speculazioni, ma anche intervenire su retribuzioni che già erano inadeguate ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e che ora sono ancora più insufficienti nel contesto economico generale. Come fare? Certo, l’intervento sul cuneo. Ma, tra le varie azioni da intraprendere per affrontare questa situazione, occorre anche un progetto più ampio per il mondo del lavoro volto a sanare lacune che già erano problematiche e che ora, in tempi di inflazione galoppante, sono diventate socialmente insostenibili. Ad esempio riaprendo il tavolo della concertazione per tutelare i livelli occupazionali, per rivedere l’attuale modello di relazioni industriali e per discutere del rinnovo dei contratti collettivi nazionali, che in Italia coprono oltre il 90% dei lavoratori e definiscono aspetti fondamentali come la retribuzione, l’organizzazione e l’orario di lavoro, l’avanzamento di carriera, la previdenza e il welfare aziendale. Un elemento importante, ad esempio, consisterebbe nel rilancio della contrattazione di secondo livello, che rende più stringente il “patto” fra datori e lavoratori, un rilancio da attuare attraverso incentivi sul piano fiscale, come proposto dal giuslavorista Pietro Ichino, attuando i principi della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese che proprio nella contrattazione aziendale realizzano il dettato dell’art.46della Costituzione italiana. Un lavoro, quindi, giustamente premiato, in una visione utile, fra l’altro, anche a combattere più efficacemente l’erosione del potere d’acquisto di stipendi e salari di fronte all’ondata inflazionistica. Accanto a ciò, anche una riforma complessiva delle politiche attive, puntando sul reddito di responsabilità e su programmi di orientamento, formazione e riqualificazione professionale in grado di favorire il ‘matching’ fra domanda e offerta di lavoro e incoraggiare la produttività. Una visione nuova, incentrata su un connubio efficace fra inclusione e sviluppo.