La riforma del 2011 ha uniformato il requisito anagrafico, ma non quello contributivo

Probabilmente, è dal 2012, pochi mesi dopo la sua entrata in vigore avvenuta nel dicembre del 2011, con il decreto-legge 201, che si parla di superamento della riforma Fornero delle pensioni. Alla prova dei fatti e nonostante l’amara vicenda degli esodati, però, nonostante i vari correttivi adottati nei dieci anni che sono seguiti, il nostro sistema previdenziale poggia in larghissima parte sull’articolo 24 del citato decreto-legge. In sintesi, la legge Fornero poggia su due caposaldi, il primo dei quali è rappresentato dalla pensione di vecchiaia che si ottiene raggiungendo i 67 anni di età. A partire dal 1° gennaio 2018, il requisito anagrafico è unico e vale per tutti; da ricordare, però, che tale requisito è soggetto a periodico aggiornamento in rapporto alla speranza di vita. Oltre all’età, è necessario avere contributi versati per 20 anni, meglio ancora per 1.040 settimane. È ammesso un accesso anticipato a 64 anni per chi ha contributi accrediti prima del 1996; l’assegno, però, deve essere pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Esiste anche un’altra possibilità, più teorica che pratica: andare in pensione a 71 anni con cinque anni di contributi versati. L’altro vero caposaldo della riforma Fornero è rappresentato dalla pensione anticipata; l’anticipo è rispetto ai 67 anni di età ed è possibile in caso di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini. Per le donne, il requisito scende a 41 anni e 10 mesi. Anche in questo caso, il conteggio è in settimane di lavoro.