VERSO LA RIFORMA
Il nuovo anno che è appena iniziato si annuncia, almeno sul versante previdenziale, di passaggio. Come più volte evidenziato sia a Palazzo Chigi che dalle parti del Ministero del lavoro, l’obiettivo è di quello di arrivare ad una soluzione strutturale, capace di coniugare l’esigenza di avere una flessibilità in uscita con la sostenibilità dei conti, in un’ottica di maggiore equità generazionale e di genere. Il tutto, valutando correttamente l’intero pacchetto che ruota intorno alla previdenza che, dalla riforma Dini del 1995, poggia su più pilastri. Il passaggio al metodo contributivo, infatti, costringe le persone a valutare la necessità di affiancare alla pensione pubblica quella complementare.

TRE PILASTRI
Si parla spesso di pilastri, due o tre a seconda del livello di approfondimento dell’intervento proposto. Il primo pilastro resta naturalmente quello della previdenza pubblica, che si concretizza attraverso l’erogazione di quanto spettante da parte dell’Inps o di una Cassa previdenziale privata. Per effetto dei coefficienti di trasformazione, questo primo pilastro è destinato a scendere nel tempo, arrivando ad una percentuale del 50-60% dell’ultimo stipendio. Il secondo pilastro è quello della previdenza complementare, sia chiusa (fondi negoziali di categoria) che aperta (fondi aperti collettivi o individuali); il terzo pilastro è rappresentato dalla previdenza integrativa (assicurazioni ramo vita).