di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha dichiarato ieri in un’intervista del quotidiano La Stampa, che tra gli impegni di legislatura del Governo vi è la riduzione del 5% del cuneo e che ci sono quasi due anni di tempo per il recepimento della Direttiva europea sul salario minimo. Sottolineando, da parte della stessa Calderone, che in Italia la contrattazione collettiva di qualità ha dato nel tempo risposte adeguate e che, proprio per questo, occorre riflettere su come estenderne l’applicazione, valutando la possibilità di verificare che i contratti collettivi delle associazioni maggiormente rappresentative possano diventare oggettivamente riferimento per le diverse categorie rispetto al salario. A quanto pare, secondo quanto riportato oggi dallo stesso quotidiano che ieri ha pubblicato l’intervista al ministro Calderone, alcuni sindacati sarebbero entrati in fibrillazione, ritenendo che i salari italiani necessitino di maggiore robustezza, e questo è giusto e condivisibile, attraverso un mix di interventi fatto di taglio al cuneo fiscale, spinta ai rinnovi contrattuali e salario minimo. Su quest’ultimo punto, invece, non ci siamo, non possiamo condividere. Stupisce, ancora oggi, che strenui difensori della contrattazione collettiva possano arrivare a invocare una legge sul salario minimo.
Sul salario minimo è necessario fare luce su idee che evidentemente continuano a circolare e in un certo senso a illudere qualcuno: il salario minimo legale è un grande bluff, una proposta velleitaria e dannosa per i lavoratori. Tanto che una eventuale approvazione per legge di un salario minimo finirebbe per incentivare un riallineamento verso il basso delle retribuzioni, senza risolvere il problema del lavoro sommerso.
Come affermato dallo stesso ministro del Lavoro, i contratti collettivi devono diventare, rispetto al salario, il riferimento per le altre categorie. Lo strumento centrale per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori è il contratto collettivo nazionale che in Italia copre oltre il 90% dei lavoratori e definisce aspetti fondamentali come l’organizzazione e l’orario di lavoro, l’avanzamento di carriera, la previdenza e il welfare. Poiché in Italia, diversamente da altri Paesi europei, sindacati e imprese sanno utilizzare al meglio uno strumento fondamentale, peraltro anche in termini di democrazia economica come quello dei contratti collettivi, e non c’è quindi ragione di una legge sul salario minimo, quando occorre semmai il contrario ovvero estendere, quasi “universalizzare” e riaggiornare semmai, il modello della contrattazione collettiva.
Voglio ribadire ancora una volta che l’Ugl si opporrà ad ogni tentativo volto ad indebolire i diritti acquisiti dei lavoratori, auspicando semmai un confronto fra Governo e parti sociali al fine di riaprire la stagione della contrattazione e rivedere l’attuale modello di relazioni industriali. Serve un Patto sociale fra lavoro e capitale fondato sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese come prevede l’articolo 46 della Costituzione.