La fuga di sette giovani detenuti dal carcere minorile Cesare Beccaria di Milano impone inevitabilmente delle valutazioni che investono direttamente due grandi questioni, quella della devianza dei giovani e l’altra della giustizia. I fatti sono noti, anche se, ad ogni ora, si aggiungono dei particolari che rendono ancora più inverosimile la vicenda. Con la scusa di una partita a calcio ed approfittando della presenza di una sola guardia penitenziaria e di alcuni lavori in corso, un manipolo di detenuti, qualcuno anche maggiorenne, è riuscito a scavalcare la recinzione, potendo peraltro contare sul diversivo di alcuni materassi incendiati da altri ospiti del Beccaria. Non è di certo la prima volta (e non sarà l’ultima, purtroppo) che i cittadini assistono impotenti ad una fuga così rocambolesca; la vera novità è che, in questa occasione, i protagonisti sono, in larga parte, dei minori che non dovrebbero stare in un carcere, ma a scuola o, magari, a lavoro con un contratto di apprendistato. Un accadimento che ci preoccupa anche come genitori di figli che, per ragioni diverse, rischiano di prendere quella che un tempo si sarebbe definita la cattiva strada. Guardiamo con preoccupazione alla ripresa del fenomeno del precoce abbandono scolastico, che investe in particolare le nostre periferie urbane, come pure all’arrivo di migliaia di minori non accompagnati, destinati a diventare manovalanza della criminalità organizzata. È sufficiente parlare con chi, delle Forze dell’ordine, vive il quotidiano per venire a conoscenza di quanti giovani e giovanissime sono invischiati nei più biechi traffici. Al governo, chiediamo quindi di accendere un faro su questo mondo, mettendo a disposizione dei comuni le risorse necessarie per dare consistenza ai servizi sociali sul territorio e puntando sull’istruzione, vero veicolo di riscatto sociale. La fuga dal Beccaria, però, è pure lo specchio della nostra giustizia: processi lenti, sovraffollamento delle carceri, personale fortemente insufficiente, scarse possibilità di recupero per i detenuti che non si sono macchiati di reati gravi. Il Ministro della giustizia, Carlo Nordio, conosce bene ciò che funziona e, soprattutto, ciò che non va; in questo senso, è, pertanto, una garanzia. Occorre, però, che tutte le componenti, ad iniziare dalla magistratura, abbiano la consapevolezza delle cose da fare e della loro stessa urgenza. Serve snellire i processi, ma occorre anche realizzare dei nuovi penitenziari, così da ridurre l’affollamento che pesa sui detenuti, come pure sul personale di vigilanza. Servono ulteriori assunzioni, in aggiunta a quelle già messe in preventivo. Da ultimo, ma non per questo meno importante, è opportuno anche un lavoro di scrematura sul mondo dell’associazionismo che ruota intorno alle carceri per evitare le situazioni poco piacevoli che si sono verificate in passato.