di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

È passato ieri sotto silenzio un dato non nuovo, ma comunque preoccupante. Ha fatto bene la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Maria Roccella, a sostenere che l’Italia è ormai oltre l’inverno demografico e cioè è nell’«inferno demografico». Parlare di maternità fa scattare da “sinistra” automaticamente l’attacco politico, salvo fare poi ben poco in termini di conciliazione tra vita e lavoro. Ma c’è rimasto ben poco da attaccare e i dati del rapporto Istat su natalità e fecondità della popolazione residente parlano chiaro, ancora una volta: nel 2021 i nati sono scesi a 400.249, pari a un calo dell’1,1% sul 2020 (-4.643). Dal 2008 le nascite sono diminuite di 176.410 unità, pari a -30,6%. Diminuzione attribuibile, per la quasi totalità, alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (314.371 nel 2021, quasi 166 mila in meno rispetto al 2008). Non illudiamoci, dal 2012 al 2021 sono diminuiti anche i nati con almeno un genitore straniero (-21.461) che, con 85.878 unità, costituiscono il 21,5% del totale dei nati. L’incidenza delle nascite da genitori entrambi stranieri sul totale dei nati è altrettanto significativa: molto più elevata nelle regioni del Nord (20,6% Nord-est e 20,1% Nord-ovest), rispetto al Centro (15,9%) e al Mezzogiorno (5,6% al Sud e 5,2% nelle Isole). In regioni come la Sardegna, ci sono sempre meno matrimoni e coppie con figli; in Molise (32,8 anni), Basilicata e di nuovo Sardegna (33 anni) si trovano le madri con l’età media più alta. Se l’età media delle madri italiane è di 31,6 anni, – aggiungiamo che nel 2019 la quota più alta di madri sopra i 40 anni si trovava in Spagna (10%), Italia (8.9 %), Grecia (8.4 %), Irlanda (7.9 %) e Portogallo (7.8 %) – la causa va intercettata anche, come rilevato da un’indagine promossa dalla Cisl Lombardia tra le sue iscritte, circa 6000 rappresentative di tutti i settori, sia nella difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare sia nello storico pay gap rispetto ai propri colleghi. A peggiorare la situazione nel 2021, sostiene l’Istat, la pandemia. Possiamo sperare in uno spiraglio di luce nel 2022? Non proprio, i dati provvisori di gennaio-settembre ci dicono che le nascite sono circa 6 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2021.
Il comune denominatore, “tra madri e padri” o aspiranti tali, sta nell’odierno dato Inapp: l’Italia è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%. In queste tre decadi è aumentato il divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e la crescita dei salari in Italia, progressivamente dal -14,6% (1990-2000), al -15,1% (2000-2010) e, infine, al -19,6% (2010-2020). Si parla giustamente di «salari in gabbia» e, dopo 30 anni, la gabbia si sarà anche arrugginita. Perciò lo sforzo da compiere per aprirla è immenso, ma va fatto, pena l’estinzione. E non si tratta di una metafora.