di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il ministro del Lavoro Calderone, durante l’audizione in commissione lavoro del Senato per illustrare le linee guida programmatiche del suo dicastero, ha chiarito le proprie intenzioni su molti punti, tra i quali la questione, importantissima, della revisione del reddito di cittadinanza, connessa all’annosa problematica di politiche attive del lavoro finora non efficaci. Il vero punto debole del RdC, per come l’abbiamo conosciuto finora, al netto delle frequenti truffe ai danni dello Stato, è consistito, infatti, in un sistema inadeguato sul lato delle politiche attive, che non ha permesso a questo strumento di essere, come previsto inizialmente, una misura solo temporanea di sostegno da abbinare ad un’efficiente rete di formazione e collocamento, ma l’ha reso, di fatto, un aiuto meramente assistenziale, anche per le persone abili al lavoro. Questi, dunque, i principali punti deboli. Il primo, un sistema di controllo non abbastanza serrato sui percettori, che ha consentito a molti non aventi diritto di approfittarsi della situazione. Il secondo, una macchina per la formazione e la connessione fra domanda ed offerta ancora disorganizzata, con con la conseguenza che il principio in base al quale si prevedeva la perdita del diritto al sussidio per quanti non accettassero le proposte lavorative è rimasto lettera morta. Ora il ministro ha tracciato una nuova strada da percorrere: da un lato un nuovo reddito, definito di “inclusione attiva”, con il compito di sostenere quella parte della popolazione più fragile, dall’altro un reddito di disoccupazione dai contorni più stringenti, per evitare abusi, e finalizzato alla ricerca di un lavoro. Separando maggiormente la parte di intervento pubblico dedicata alle persone impossibilitate a lavorare e quella indirizzata all’aiuto degli inoccupati, che dovrà avere l’obiettivo chiaro e stringente dell’inserimento della maggior parte possibile di questi ultimi nel mondo del lavoro attivo, a beneficio loro e dell’intera comunità, da un punto di vista non solo economico, ma sociale e si potrebbe dire anche “valoriale”. Con una riscoperta, quindi, del valore sociale del lavoro: non solo strumento di reperimento delle necessarie risorse economiche, ma anche veicolo di crescita personale, inclusione e contributo al benessere ed allo sviluppo collettivo. Ci auguriamo che queste intenzioni si traducano concretamente in realtà, superando quel gap nelle politiche attive del lavoro che da troppo tempo penalizza il nostro Paese. Anche mediante la nuova sinergia, annunciata da Calderone, tra soggetti pubblici e privati in materia di formazione professionale, “per la formazione interna in azienda e per la creazione di poli di eccellenza territoriali”. Un settore nell’ambito del quale anche il sindacato, con le proprie strutture dedicate alla formazione, può e deve fare la propria parte.