di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale UGL

Mentre a Ischia si continua a scavare a mani nude nel fango per trovare gli ultimi quattro dispersi, arrivano come una pioggia violenta metaforica sul bagnato i dati 2022 della Svimez sul Mezzogiorno. Più che ad una recessione, viene da pensare ad una secessione di fatto del Sud dal resto d’Italia. I numeri dicono che nel 2023 il Pil meridionale si dovrebbe contrarre fino a raggiungere il -0,4%, quello del Centro-Nord, in forte rallentamento rispetto al 2022, si troverebbe invece in territorio positivo a +0,8%, mentre la media italiana dovrebbe attestarsi intorno al +0,5%. Secondo la Svimez il nuovo shock, energetico, ha cambiato il segno delle dinamiche globali e interrotto il percorso di ripresa nazionale coeso tra Nord e Sud. Gli effetti territorialmente asimmetrici, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese del Mezzogiorno, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud. Così, il Pil dovrebbe crescere del +3,8% a scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%). C’è di peggio. L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa 1 punto percentuale salendo all’8,6%, con forti eterogeneità territoriali: +2,8% nel Mezzogiorno, 0,3 nel Nord e 0,4 nel Centro. In valori assoluti si stimano 760 mila nuovi poveri a causa dallo shock inflazionistico, pari a 287 mila nuclei familiari, di cui 500 mila soltanto al Sud.
Nel frattempo, la presidente della Bce, Christine Lagarde, in audizione al Parlamento Ue sosteneva che il picco dell’inflazione non è stato ancora raggiunto e quindi la Banca centrale continuerà a rendere sempre più costoso il denaro. A danno, c’è da evidenziare, di mutui e prestiti. Forse anche Lagarde dovrebbe leggere il rapporto Svimez e, magari, arrivare a chiedersi se sia più importante tenere bassa l’inflazione, senza riuscirci peraltro, o aumentare la povertà. O magari agire su entrambi i fronti.
Davanti a 500mila nuovi poveri, soltanto nel Sud d’Italia, a causa dell’aumento dell’inflazione, e a quasi 1 lavoratore su 4 precario, si impongono interventi nel medio e lungo periodo. Sperare che la Bce si sganci dalle politiche monetarie della Banca centrale americana (Fed) è illusorio, nonostante gli Usa con il loro “Inflation Reduction Act” (Ira), piano protezionista per difendersi dall’inflazione, si stiano comportando nei confronti della Ue né più né meno come la Cina. Dunque, bisogna correre ai ripari e quello che serve subito all’Italia è sia uno stanziamento di risorse per contrastare i rincari delle bollette e combattere il fenomeno della povertà energetica sia procedere con investimenti ad alto moltiplicatore del Pil in politiche industriali e occupazionali. Da questo punto di vista, gli 82 miliardi di euro del Pnrr destinati al Sud rappresentano un’opportunità senza precedenti per favorire lo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno e garantire la coesione sociale e territoriale.