di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

“Certo il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, scriveva Manzoni un paio di secoli fa e le cose, a distanza di tanto tempo, non sono cambiate. Lo ha chiarito il premier Meloni, donna che sicuramente non difetta di coraggio, avendo trascorso un’esistenza intera dalla parte del “torto” per antonomasia, ossia a destra, in un Paese nel quale schierarsi in un certo modo non ha mai garantito vita facile. A chi manca il coraggio, a detta del leader di FdI ed ora – per volontà popolare – Presidente del Consiglio, è, piuttosto, buona parte della stampa italiana. Ed è difficile darle torto, almeno avendo una discreta dose di memoria. Negli ultimi anni in Italia se ne sono viste “delle belle”, specie dal 2018 in poi. Prima il governo degli outsider gialloverdi, poi il cambio della guardia a Palazzo Chigi, la pandemia e la gestione della stessa da parte dei giallorossi del Conte Due, poi ancora il governo Draghi ed, infine, eccoci qua, al governo Meloni. In questi anni l’atteggiamento di molta stampa non è stato costante, ma è variato in base al colore politico dell’Esecutivo in carica. Il fuoco di fila delle critiche senza sconti al tempo del Conte Uno di M5s e Lega. Poi un’infinita luna di miele con il Conte Due a guida Pd, anche durante la prima crisi Covid, quella gestita da Speranza e Arcuri, quando le domande scomode erano evitate, nonostante una situazione eccezionale da approfondire ed una risposta non sempre all’altezza da parte del governo. Parola d’ordine: “lasciateli lavorare”, poco importa come. Di seguito un unanime sostegno della stampa al governo Draghi, certo dettato dal prestigio del Premier e dalla presenza in maggioranza di quasi tutto l’emiciclo parlamentare, comunque eccessivamente arrendevole. Ed ora, col governo di destra, il mainstream giornalistico si è riscoperto “cane da guardia”, piuttosto ringhioso, della democrazia. Sarà forse per questo modo di fare che il posizionamento del Paese nella classifica internazionale sulla libertà di stampa non è da podio: troppo facile attaccare gli “underdog”, per dirla alla Meloni, approdati nelle Istituzioni nonostante parecchi ostacoli sul proprio cammino, e, invece, mostrarsi accondiscendenti con i soliti e strutturati “poteri forti”. Sempre più sfumato, poi, il confine tra informazione ed opinione. Pochi i cronisti chiamati a descrivere obiettivamente ciò che avviene, in modo che tutti possano essere messi a conoscenza dei fatti, tanti, invece, gli opinionisti, a dire la propria in televisione o sui giornali, inflazionando così un ruolo che in passato era riservato solo alle grandi firme o agli esperti, titolati a pronunciarsi su questa o quella materia. Un cortocircuito determinato da un collegamento troppo stretto tra giornalismo e (una parte) politica, che sta svilendo, purtroppo, l’intero sistema dell’informazione italiana.