In dieci anni, almeno 121mila nostri connazionali, molti laureati, sono emigrati

Nel nostro Paese è in atto una vera e propria fuga di cervelli, per utilizzare un termine tanto in voga sulla stampa. Secondo il rapporto Welfare Italia, curato da un network di soggetti supportati da Unipol e nell’ambito del The European House – Ambrosetti, fra il 2011 e il 2020, i nostri connazionali che sono emigrati all’estero sono quasi raddoppiati. Per la precisione, si tratta di un incremento del 93,9%. Nello stesso periodo, giusto per la cronaca, il numero di immigrati si è ridotto di oltre un terzo. Naturalmente, in valori assoluti, siamo davanti a due fenomeni poco misurabili fra loro, poiché a lasciare l’Italia sono stati in 121mila, di cui circa 31mila in possesso di una laurea. Il rapporto si spinge ad ipotizzare il caso in cui tutti coloro che sono emigrati non torneranno mai indietro: ebbene, ciò comporterebbe una perdita secca nell’ordine di 147 miliardi di euro, fra i costi per l’istruzione e il mancato apporto in termini di reddito. In attesa di capire cosa potrà succedere nei prossimi anni, i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl richiamano da tempo l’attenzione dei governi di turno su questa problematica. In legge di bilancio, fra le altre cose, è previsto il rinnovo della decontribuzione per le assunzioni di giovani con meno di 35 anni, mentre anche diverse regioni hanno adottato misure volte a favorire il rientro delle professionalità, magari dopo una esperienza lavorativa.