Ex Ilva: proteste e scioperi affinché lo Stato prenda in mano la situazione. Tutti i sindacati in piazza e in sciopero chiedono al Governo di togliere ad Arcelor Mittal la gestione del gruppo siderurgico. L’acciaio non si può fermare.

Mentre stamattina in Italia e, per la precisione, a Taranto e a Genova, iniziava lo sciopero dei lavoratori diretti di Acciaierie d’Italia, dell’appalto e di Ilva in Amministrazione straordinaria, indetto dai sindacati (con l’UGL Metalmeccanici che ha indetto autonomamente uno sciopero di 24 ore), a Parigi c’era attesa per l’incontro che il presidente francese, Emmanuel Macron, terrà questa sera all’Eliseo con un gruppo di grandi industriali europei per incitarli a restare in Europa e, guarda caso, preferibilmente in Francia. L’incontro sarà con l’European Round Table for Industry (ERT), che conta tra i suoi aderenti una sessantina di grandi imprese dell’Europa, tra cui Orange, Ericsson, Unilever, AstraZeneca, Volvo, BMW, Air Liquide o Solvay. Una palese contraddizione, per usare un eufemismo, se si pensa che il colosso franco indiano Arcelor Mittal, detentore della gestione dell’ex Ilva, oggi denominata Acciaierie d’Italia (AdI), con le sue discutibili scelte, come, ad esempio, la riduzione del numero degli altoforni da cinque a tre, di fatto non consente di sfruttare al massimo il potenziale dell’ex Ilva, con drammatiche conseguenze occupazionali e non solo industriali. Il controllo che il colosso franco indiano ha sullo stabilimento è pari ad una quota del 60%, mentre il 40% è in mano a Invitalia. La gestione si è rivelata inefficiente, lo dicono i numeri: le acciaierie producono circa 3,7-3,8 milioni di tonnellate, pur avendo una capacità teorica attorno ai 6 milioni di tonnellate. Un tempo l’Ilva arrivava a produrre anche 8-10 milioni tonnellate. L’Italia e, in particolare, l’industria del Nord, che rappresenta un consumo di acciaio pari a 12 milioni di tonnellate all’anno, è costretta ad importare acciaio dagli stabilimenti francesi di Dunkerque e belgi di Gent, i quali sono di proprietà della stessa ArcelorMittal. Oltre a ciò, il deficit produttivo, causato dallo sfruttamento parziale dell’ex Ilva, fa salire i prezzi, diventati i più alti d’Europa. Bene ha fatto, quindi, il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, a convocare la settimana scorsa un tavolo con i sindacati, ma sono necessarie scelte immediate, altrimenti Adi rischia di spegnersi. Non è un caso se Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, a margine dell’assemblea di Confindustria, che si è tenuta oggi a Genova, abbia dichiarato: «L’asfissia finanziaria di Taranto è spiegata dal fatto che Arcelor Mittal non sostiene finanziariamente l’Ilva, perché altrimenti l’Ilva non sarebbe strangolata come è». «Bisogna prendere atto della situazione, definire i problemi e esplorare le strade che esistono per salvare questo asset strategico per l’economia italiana». Facciamolo, anche quello che chiedono i sindacati: nazionalizzare o assumere da parte dello Stato la quota di maggioranza, togliere dalle mani di Arcelor Mittal Accciaierie d’Italia. Purquoi pas?