di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il mondo cambia continuamente e tante volte questo è un bene, per ottenere una vita migliore. Alcune cose però, nel vortice del progresso, vanno conservate con cura, perché costituiscono un tesoro di cui sarebbe controproducente privarsi. Progresso e conservazione, come due punti di riferimento rispetto ai quali trovare le giuste coordinate. Un concetto applicabile a molti ambiti ed anche alle novità sorte dopo l’investitura del primo Premier di sesso femminile nella storia del nostro Paese, Giorgia Meloni. Questo evento, storico, ha dato origine ad un intenso dibattito. Molto interessante, anche se – purtroppo – quasi mai libero da faziosità che lo hanno un po’ banalizzato per ragioni di basso cabotaggio. Cercando di volare più alto, si possono fare diverse riflessioni su questo cambiamento, che ci ha messo di fronte al fatto che, a decenni dall’inclusione della componente femminile della società nella politica e nel lavoro, ancora tanto c’è da fare per avere reali pari opportunità, non solo dal punto di vista pratico, ma anche culturale. Ci si è chiesti, ad esempio, se Giorgia Meloni e tutte le altre donne che ricoprono importanti cariche pubbliche o posizioni lavorative un tempo riservate ai soli uomini vadano appellate con un neutro maschile o con articoli e desinenze femminili ed in quale modo si rispetti maggiormente il loro valore. Diverse le risposte a questa domanda, l’importante è che il fine, in ogni caso, sia quello di difendere al meglio il diritto delle donne a svolgere qualsiasi funzione a pieno titolo. Servirebbe un confronto sul lessico collettivo più rispettoso e franco e meno inutilmente polemico. Ora la disputa è sulla presenza della figlia del Premier al G20 di Bali. Se sia stato giusto o meno che un Presidente del Consiglio, donna e madre di una bambina piccola, abbia voluto mettere assieme questi due ruoli, invece che assumere la solita veste impersonale di molte donne ai vertici delle istituzioni. Ci si interroga sul vestiario e sulle scarpe, sugli articoli e sulle desinenze, sul tono di voce o quant’altro che risulti troppo “maschile” nel Premier e poi al contempo si critica una scelta così evidentemente dirompente: affermare che una donna non deve presentarsi come priva di legami familiari per poter svolgere – e bene – il proprio lavoro, in un mondo nel quale in molti colloqui ancora si chiedono informazioni alle candidate su stato civile, situazione familiare e figli. Quel gesto forse cambierà un po’ le cose, come anche la decisione della Camera di modificare il proprio regolamento per consentire alle Deputate di allattare i propri figli durante le sedute di Montecitorio. Per far comprendere che la maternità non va vista come un ostacolo per le donne, che non si devono più costringere le donne a scegliere fra carriera e famiglia o a presentarsi nei luoghi di lavoro come individui isolati per poter essere credibili. Che il progresso della piena inclusione femminile va attuato non eliminando, ma, al contrario, conservando e valorizzando il ruolo della maternità e della famiglia come pilastri della società.