Almeno a parole, tutti i leader mondiali condividono la necessità di rafforzare le azioni per contrastare gli effetti maggiormente negativi del cambiamento climatico. Troppo spesso, però, l’Europa è isolata, con Cina, India e gli stessi Stati Uniti che sfuggono agli impegni

Guardando le immagini che arrivano da Sharm El-Sheik, viene da chiedersi quanto siano ancora utili questi appuntamenti plenari. Resta, di certo, l’urgenza di affrontare, come in questo caso, la questione reale degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, però, troppo spesso, il tutto si riduce a dichiarazioni di principio che poi non si traducono in atti concreti. Una riflessione sicuramente amara, che vale per la Cop27, ma che, per estensione, si potrebbe fare pure per altri eventi simili, ad iniziare dalle riunioni del G20 e del G7. È evidente a tutti che il mondo pensato dopo la fine della Seconda guerra mondiale è oggi profondamente diverso da allora. La Cina, anche se già membro permanente, di allora è profondamente diversa dalla Cina di oggi, come pure l’India. La stessa egemonia degli Stati Uniti è, per molti versi, finita nel dimenticatoio, mentre l’Unione europea fatica a trovare una linea comune, soprattutto sulle politiche ambientali: è sufficiente una riduzione dei flussi di gas per rimettere in dubbio scelte strategiche maturate faticosamente nei palazzi di Bruxelles. In un tale scenario, accade quindi che i Paesi del sud del Mondo rivendicano il loro diritto ad essere risarciti per i danni provocati all’ambiente dalle economie più avanzate. Si parla di almeno 2.400 miliardi di dollari. Così, mentre l’Europa prova a dare una risposta e mentre, soprattutto, si accapiglia sul destino dei migranti provenienti dall’Africa, la Cina è partita alla conquista del continente africano, mettendo sul piatto tanti soldi che non servono a compensare i danni fatti all’ambiente, ma a portarsi a casa materie prime e infrastrutture, con buona pace per i cambiamenti climatici.