di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La complessa vicenda relativa alle navi Ong cariche di migranti che ha tenuto impegnate le cronache negli ultimi giorni è stata sintetizzata, in modo molto chiaro e pacato, dall’intervento del ministro degli Esteri Tajani su La Nazione di oggi. Al di là delle contrapposizioni ideologiche e strumentali, bisognerebbe ragionare su una situazione ormai incancrenita, che provoca disastri umanitari, insicurezza sociale e sfruttamento. Sulle coste nordafricane si ritrovano centinaia di persone, dai profughi veri e propri ai migranti economici, questi ultimi provenienti da Paesi anche lontanissimi, non in fuga da guerre, ma solo in cerca di fortuna. Una massa che cerca di approdare sulle nostre coste con mezzi insicuri, molte le morti in mare. Un flusso continuo capace di mettere a dura prova le nostre risorse, già limitate e ora ancora di più, fiaccate da pandemia e crisi energetica. Migranti che, una volta giunti qui in situazione di irregolarità, sono poi soggetti a condizioni di vita precarie, a lavoro nero e sfruttamento da parte della malavita. Un problema di cui finora stanno facendo le spese soltanto i migranti stessi da una parte, gli italiani dall’altra. Gli italiani, perché, sostanzialmente, tutte queste navi fanno rotta solo verso il nostro Paese, nell’indifferenza del resto dell’Ue, che ancora fa riferimento a quei trattati di Dublino ideati decenni fa, quando il mondo era completamente diverso rispetto ad ora, dal punto di vista politico, economico e sociale. In questo contesto si colloca il ruolo opaco delle Ong. Organizzazioni che non salvano “naufraghi”, ovvero naviganti incappati per sfortuna in qualche disastro marittimo, ma barche e barconi gestiti da scafisti che già prima di partire sanno che naufragheranno e poi saranno salvati. Come detto dal ministro Tajani, per riportare lo stato delle cose in condizioni di normalità, legalità e sicurezza per tutti occorre un’iniziativa comune dell’Europa. Per regolarizzare il ruolo delle Ong, spesso battenti bandiera di altri Stati Ue, ed aggiornare i trattati di Dublino. «Altrimenti non ne usciamo. Se non ci aiutano ad arginare il flusso dei migranti, l’Italia con i suoi 7mila chilometri di coste si troverà in difficoltà». Non solo controllo dei mari, ma anche progetti di sviluppo per l’Africa ed accordi coi Paesi di partenza. Parole chiare e sensate che dovrebbero essere condivise da tutti coloro che hanno a cuore il futuro del Paese, in difficoltà anche a causa di questa pressione insostenibile. Anche dalla sinistra, che fa finta di non comprendere la gravità della situazione rifugiandosi in un cieco “buonismo”, che non vuole vedere le oggettive difficoltà del nostro Paese – sia delle Istituzioni che della cittadinanza – l’inaccettabile inerzia dell’Europa, il peso della criminalità organizzata che ruota attorno a questi traffici di esseri umani, sia nella tratta che nello sfruttamento una volta giunti da noi. Il governo, con la linea della fermezza, ha voluto lanciare un segnale. Speriamo che ora, finalmente, qualcosa inizi a cambiare, a Roma come a Bruxelles.