Povero e precario: l’identikit del lavoro italiano. Post Covid: solo il 35-40% degli atipici passa nell’arco di tre anni ad impieghi stabili

Il mercato del lavoro italiano è una trappola. Secondo il rapporto Inapp 2022 “Lavoro e Formazione, l’Italia davanti al futuro”, dei nuovi contratti attivati nel 2021 7 su 10 sono a tempo determinato, solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni ad impieghi stabili, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%). Come se non bastasse, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale. Per l’Istituto il mercato del lavoro «appare ancora intrappolato nella precarietà», ma più verosimilmente sembrano essere le lavoratrici e i lavoratori italiani a sentirsi in trappola, una trappola oltretutto povera. Nel 2021 il 68,9% dei nuovi contratti sono a tempo determinato, solo il 14,8% a tempo indeterminato. Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni. L’analisi comparata longitudinale per i periodi 2008-2010, 2016-2018 e 2018-2021 di chi svolgeva un impiego precario ha dato come risultato che in tutti questi periodi la “flessibilità buona” ha portato a un’occupazione stabile tra il 35 e il 40%. Dei rimanenti, sempre a distanza di tre anni, una quota ha continuato a svolgere un lavoro precario (tra il 30 e il 43% a seconda del triennio), un’altra ha perso l’impiego ed è in cerca di lavoro (16-18%), un’altra ancora è uscita dalla forza lavoro dichiarandosi inattiva (17% nel 2021, nel 2010 era il 3%).
Il nostro Paese nel corso degli ultimi 30 anni (1990 -2020) è l’unico ad aver registrato un calo dei salari (-2,9%) a fronte di una crescita media dei Paesi Ocse del 38,5%. Nello stesso periodo la produttività è cresciuta del 21,9%. Così «non sembrano dunque aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro».
In Italia il tasso di occupazione, sceso dal 58,8 al 56,8% all’inizio della pandemia, ha ripreso a crescere solo nel 2021 e ha impiegato 18 mesi per tornare ai livelli pre-crisi. Nei Paesi Ocse la risalita era già consistente nel II trimestre 2020 e si è completata in 15 mesi. Nel 2021 sono stati 11.284.591 le nuove assunzioni, con prevalenza della componente maschile: 54% contro il 46% per le donne
La tendenza alla riduzione dell’orario di lavoro sembra non arrestarsi e il prodotto per singola ora è bloccato dal 2000 rispetto a tutti i Paesi, non solo membri dell’Ue.