di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Nella discussione sul reddito di cittadinanza – e non solo – il nocciolo della questione consiste nel trovare un adeguato bilanciamento tra diritti e doveri, per fare in modo che i diritti non si trasformino in privilegi ed i doveri siano equamente distribuiti. Non è cosa da poco, perché ne va non solo dell’utilizzo, in tempi “di magra”, delle risorse di tutti, ma anche del senso di giustizia sociale, che incide molto sulla tenuta del patto collettivo fra cittadini e Stato. È necessario aiutare chi si trova in difficoltà e il Rdc ha sostenuto molte persone negli anni della pandemia. Tuttavia questo strumento ha mostrato dei limiti: da un lato non è riuscito a far trovare lavoro alla gran parte dei percettori occupabili, dall’altro non tutte le persone in difficoltà hanno avuto accesso al reddito, mentre ne hanno approfittato alcuni che non ne avevano diritto né bisogno, sottraendo risorse alla collettività, per di più in un periodo economicamente difficile come quello attuale. Una riforma quindi occorre, specie per far coincidere meglio domanda e offerta di lavoro, dato che attualmente in Italia ci sono 350mila offerte di lavoro vacanti da parte delle imprese, a fronte di circa 660mila beneficiari del reddito potenzialmente “occupabili”, in base dati Anpal. L’Ugl aveva proposto di creare un elenco dei percettori in cerca di occupazione su una piattaforma pubblica, senza intermediari ed a disposizione delle aziende. Altrettanto necessario riformulare i parametri Isee, che attualmente non riescono a fotografare in modo obiettivo la reale situazione economica delle famiglie, producendo degli squilibri nella conseguente erogazione di sostegni di vario tipo. A quanto pare l’intenzione del governo, chiarita dal sottosegretario al lavoro Durigon in un’intervista al Corriere della Sera, sarebbe quella da un lato di diversificare la platea dei percettori fra inabili e abili al lavoro e poi stringere le maglie della normativa per questi ultimi. La riforma dovrebbe prevedere la perdita completa del sussidio dopo il primo rifiuto di un lavoro, mentre, per coloro che non ricevono proposte, dopo 18 mesi di reddito sarebbe previsto l’inserimento in un percorso di politiche attive, attraverso la partecipazione a corsi di formazione, con la possibilità di una retribuzione con i soldi del Fondo sociale europeo. Una partecipazione attiva alla formazione obbligatoria, con orari ben definiti di presenza, permetterebbe non solo di accrescere le competenze e quindi l’occupabilità, ma anche di evitare che usufruiscano di sussidi persone che in realtà lavorano, ma in modo irregolare. Terminato il percorso formativo, dopo altri sei mesi si potrebbe richiedere di nuovo il reddito, ma solo per 12 mesi e con una decurtazione del 25%. Proposte interessanti e da valutare, nel segno della trasformazione, come chiediamo da tempo, del Reddito di cittadinanza in Reddito di responsabilità.