di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Paradossale che in Italia possa sorgere un dibattito fra le forze politiche sulla necessità di combattere i cosiddetti rave illegali: dovrebbe essere lapalissiano per i partiti presenti nelle Istituzioni cercare di contrapporsi ad ogni forma di conclamata illegalità, l’ABC per ogni formazione parlamentare. Ma, evidentemente, fare l’occhiolino, per motivi cosiddetti “identitari” e di rafforzamento della base elettorale, a visioni chiaramente “anti-sistema” improntate sull’ottica comunista dell’esproprio della proprietà privata – difficile, in tutta onestà, aggiungere l’aggettivo “proletario” senza scadere nel ridicolo – quando avviene a sinistra è consentito, con la benedizione delle grandi firme del giornalismo, mentre alla destra sono richieste continue professioni di fede liberal-democratica. Il solito cortocircuito ideologico in base al quale alcuni hanno margini più ampi di altri. In Italia, sarebbe superfluo ricordarlo, l’occupazione della proprietà altrui è vietata, così come sono vietate le manifestazioni non autorizzate e le attività commerciali abusive. Solo di poche ore prima la polemica sull’innalzamento del tetto al contante, come fosse cosa eversiva permettere ai cittadini di utilizzare l’unica forma di pagamento avente corso legale in Italia, la banconota, che invece si vorrebbe soppiantata – non in modo volontario, ma obbligatorio, sopra certe cifre, sempre più basse – da transazioni gestite, non certo a titolo gratuito, dalle banche private. La spiegazione: evitare l’evasione fiscale. Ma, allora, come è possibile poi ergersi a difensori delle discoteche improvvisate nelle quali certamente i pagamenti, per ingressi bevande e quant’altro, sono esclusivamente in contanti e non viene pagato un euro di tasse? Tanto meno di affitti e bollette, come tocca fare ai comuni mortali per mandare avanti le normali attività commerciali? Da rispedire al mittente ogni immagine bohémienne di giovani auto-organizzati in manifestazioni spontanee: gli impianti audio sequestrati agli organizzatori del rave di Modena, del valore di 150mila euro, sono sufficienti a chiarire la palese irrealtà dell’oleografico quadretto. Il fine il lucro, il mezzo l’illegalità. Chiaro e semplice. Illegalità anche dal punto di vista del lavoro in nero, tra deejay, buttafuori, operai addetti al trasporto e montaggio delle strutture. E dal punto di vista della salute e sicurezza di lavoratori ed utenti, valori che dovrebbero essere totem per una sinistra “normale”. Il tutto senza neanche considerare la più che realistica ipotesi di scambio di sostanze stupefacenti all’interno del raduno. Andrebbe semplicemente fatto un plauso alla gestione della vicenda da parte del Ministero dell’Interno e delle Forze dell’Ordine, che hanno provveduto ad uno sgombero rapido, ordinato e pacifico. Ora spetterà ad inquirenti e magistratura capire chi e come abbia messo in piedi una simile attività, per guadagnare sulle spalle della collettività ed a danno dell’incolumità in primo luogo dei ragazzi presenti all’evento, ignari dei possibili pericoli. Per fortuna non si sono verificati incidenti in assenza di norme su uscite di sicurezza e quant’altro. Abbiamo visto nella tragica parata di Halloween in Corea cosa possa accadere quando si realizzano grandi assembramenti senza opportune cautele. Infine, per quanto riguarda la limitazione della libertà di manifestazione, possibile “effetto collaterale” della nuova norma anti-rave, l’unica stretta reale alla quale abbiamo finora assistito e che molti cittadini hanno vissuto direttamente è stata quella decretata dall’ex ministro Lamorgese con la pessima gestione del diritto al dissenso ed alla protesta, non solo dei “no pass”, ma anche di lavoratori e studenti, nel periodo pandemico.